I PROMESSI SPOSI DI GIORGIO SCARPATI - Rassegna di studi grafici e di bozzetti preparatori - dal 14 al 29 aprile 2007

 

Inaugurazione sabato 14 aprile 2007, ore 17.00 - Salone Giovanni Paolo II – Robbiano di Giussano (MI)

LA MOSTRA

- Progetto della Mostra
- Orari
- Serate Culturali
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Come raggiungerci

- Il Circolo Culturale

 

LA VITA

- Biografia
-
Autoritratto a carboncino (1946)
-
Autoritratto a olio (1948)
 

I PROMESSI SPOSI DI SCARPATI

- Analisi di Dom Giovanni Brizzi
-
Le tavole grafiche
-
I bozzetti
-
Critica di Mario Monteverdi

- Illustrare Manzoni di G. Gaspari
-
Documenti della Casa del Manzoni

- Opere delle 5^ Isa Giussano
 

CATALOGO DELLE OPERE

- Presentazione del Sindaco Cassina
-
Critica di Luciano Caramel

 

STORIA DELLA COLONNA INFAME

- Introduzione di Edilio Marelli
-
Disegni
 

BIBLIOGRAFIA

- I Quaderni del Ballerini
- Bibliografia

 

TESTIMONIANZE

- Il Sindaco Franco Riva

- Claudio Scarpati
-
Erminio Barzaghi
-
Ivana Mononi Montani

- Istituto Statale d'Arte di Giussano
- Edilio Marelli
 

 

ELENCO DELLE TAVOLE

(click per descrizione e immagine)

 

      0.     Introduzione

  1. Don Abbondio e i Bravi (Cap. I)
  2. Don Abbondio rifiuta di celebrare le nozze (Cap. II)
  3. Renzo va dal dott. Azzeccagarbugli (Cap. III)
  4. Padre Cristoforo "il Pane del Perdono" (Cap. IV)
  5. Padre Cristoforo da Don Rodrigo (Cap. V)
  6. Colloquio di Padre Cristoforo e Don Rodrigo (Cap. VI)
  7. Renzo, Lucia e Agnese (Cap. VII)
  8. Fallimento del matrimonio a sorpresa (Cap. VIII)
  9. I tre fuggiaschi (Cap. IX)
  10. Suor Gertrude (Cap. X)
  11. Renzo in giro per Milano  (Cap. XI)
  12. "I tumulti" (Cap. XII)
  13. Assalto alla casa del Vicario - Ferrer (Cap. XIII)
  14. Renzo all'osteria (Cap. XIV)
  15. Arresto di Renzo (Cap. XV)
  16. La fuga di Renzo (Cap. XVI)
  17. Passaggio dell'Adda (Cap. XVII)
  18. Apprensione di Agnese: "Agnese da Fra Galdino" (Cap. XVIII)
  19. L'Innominato (Cap. XIX)
  20. Ratto di Lucia (Cap. XX)
  1. Lucia al castello dell'Innominato (Cap. XXI)
  2. Il Cardinal Federigo Borromeo (Cap. XXII)
  3. Conversione dell'Innominato (Cap. XXIII)
  4. Liberazione di Lucia (Cap. XXIV)
  5. Il Cardinale a casa di Don Abbondio (Cap. XXV)
  6. I cento scudi d'oro (Cap. XXVI)
  7. Donna Prassede e Don Ferrante (Cap. XXVII)
  8. Arrivano i Lanzichenecchi (Cap. XXVIII-XXIX)
  9. Ospitalità dell'Innominato (Cap. XXIX-XXX)
  10. La peste (Cap. XXXI-XXXII)
  11. Gli untori (Cap. XXXI-XXXII)
  12. Ritorno di Renzo al paese (Cap. XXXIII)
  13. "...verso sera salirete a prendere anche me..." (Cap. XXXIV)
  14. Il lazzaretto (Cap. XXXV)
  15. Lazzaretto (Cap. XXXV)
  16. Don Rodrigo al lazzaretto (Cap. XXXV)
  17. Renzo incontra al lazzaretto Lucia e Padre Cristoforo (Cap. XXXVI)
  18. Renzo ritorna al paese e s'incontra con Agnese (Cap. XXXVII)
  19. Le nozze (Cap. XXXVIII)

 

 

 

I promessi sposi
Le vicende riassunte in poche pagine


Nella «Introduzione», il Manzoni immagina di aver scoperto, in un vecchio manoscritto anonimo del XVII secolo (quando la Lombardia era sottoposta alla dominazione spagnola), la storia di due giovani operai innamorati, ma impediti nel loro matrimonio da un prepotente signorotto del tempo.
E’ una vicenda di gente umile e semplice: così il Manzoni, nascosto dietro l'anonimo autore, afferma la sua adesione al principio romantico e innovativo, di rivolgere l'interesse artistico letterario verso le classi popolari.
Il Manzoni trascrive il primo passo dell'immaginario manoscritto, nello stile gonfio e ampolloso caratteristico di quel secolo, ma prosegue poi cambiando stile e spiegando di voler narrare la storia con un linguaggio nuovo e più comprensibile, che troverà la sua giustificazione nelle pagine stesse dell'opera.

"Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni."

 


Scena 1: Don Abbondio e i Bravi (Capitolo I)

È descritto ampiamente il territorio montuoso di Lecco, a ridosso di «quel ramo del lago di Como», che da Lecco appunto prende nome. L'azione incomincia con una data precisa, la sera del 7 novembre 1628, quando, in una delle stradicciole sulla costiera, un parroco di campagna, don Abbondio, incontra due «bravi» (due gorilla, due killer, diremmo oggi) di un signorotto del tempo, don Rodrigo, che in nome del loro padrone gli ingiungono di non celebrare il matrimonio, già fissato per il giorno dopo, tra i due giovani operai Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Il parroco, spaventato, promette obbedienza. Giunto alla canonica, pressato dalla serva Perpetua, rivela le ragioni del suo turbamento e va a letto più morto che vivo.

"Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto…
…ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l'aspettato era lui…
…Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri…
…- Or bene, - gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai…"

 



Scena 2: Don Abbondio rifiuta di celebrare le nozze (Capitolo II)

Al mattino successivo, quando Renzo si reca alla chiesa, apprende che per alcune formalità il matrimonio deve rinviarsi.
Poco convinto, sul punto di andarsene, vede Perpetua che non può fare a meno di fargli intendere che le ragioni sono ben altre.
Nuovo colloquio tempestoso con don Abbondio, costretto da Renzo a rivelare che l'impedimento è don Rodrigo, il signorotto del paese.
Renzo si precipita a casa di Lucia.


"Comparve davanti a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario colore al cappello …
…- Oggi? - replicò don Abbondio, come se ne sentisse parlare per la prima volta. - Oggi, oggi... abbiate pazienza, ma oggi non posso - …
…- Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V'è saltato il grillo di maritarvi..."

 



Scena 3: Renzo va dal dottor Azzeccagarbugli (Capitolo III)

Lucia è in casa con la madre Agnese e le amiche, in attesa dello sposo.
A Renzo, che sopraggiunge ansioso e pretende spiegazioni, essa confessa di essere stata fermata per strada, di ritorno dal lavoro nella filanda, da don Rodrigo che le ha rivolto parole poco belle.
Aggiunge di aver rivelato la cosa a padre Cristoforo, il suo confessore e di essere stata consigliata da lui a tacere e affrettare le nozze.
Renzo, indignato, vorrebbe compiere spropositi.
Agnese lo spinge piuttosto ad andare a Lecco da un avvocato: Renzo va dal dottor Azzeccagarbugli, portando i capponi, ma l'avvocato, quando apprende che c'è di mezzo don Rodrigo, lo butta fuori di casa.

"-…Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli...
…Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que' signori. Raccontategli tutto l'accaduto…-"



 

Scena 4: Padre Cristoforo “il pane del perdono” (Capitolo IV)

Padre Cristoforo, avvertito da Lucia, esce dal suo convento di Pescarenico e si reca alla casa delle due donne.
Il capitolo è in gran parte occupato dalla narrazione della giovinezza del frate: figlio di un facoltoso mercante, aveva ricevuto una raffinata educazione.
Venuto un giorno a diverbio con un nobile, l'aveva ucciso in duello; quindi, per espiazione, s'era fatto frate, mutando il nome di Lodovico in quello di Cristoforo.
Il nostro Cristoforo, ottenuto il perdono dal fratello del nobile ucciso, prima di accomiatarsi chiese un pane, da portare sempre con sé, come segno tangibile del perdono.

"-…Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire d'aver goduto la sua carità, d'aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono …-
...Fermandosi, all'ora della refezione, presso un benefattore, mangiò, con una specie di voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò un pezzo, e lo ripose nella sporta, per tenerlo, come un ricordo perpetuo."


 


Scena 5: Padre Cristoforo da don Rodrigo (Cap. V)

Parlato con le due donne, Padre Cristoforo si reca da don Rodrigo per convincerlo a desistere dal suo proposito.
Al palazzo del signorotto, è ricevuto in sala da pranzo ove è in corso un banchetto, cui il padrone di casa ha invitato un suo cugino, il conte Attilio, e altri personaggi importanti del paese.
Si discute della guerra in corso per la successione del ducato di Mantova, si brinda all'abbondanza (mentre nelle campagne infuria la fame) e si disserta su futili questioni d'onore.
Padre Cristoforo è chiamato a dir la sua.

"…ma congedare un cappuccino, senza avergli dato udienza, non era secondo le regole della sua politica. Poiché la seccatura non si poteva scansare, si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrompere il chiasso.
Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò, in atto contegnoso, al frate, che s'era subito alzato con gli altri; gli disse: - eccomi a' suoi comandi -; e lo condusse in un'altra sala."


 


Scena 6: Colloquio di Padre Cristoforo e don Rodrigo (Capitolo VI)

Finalmente don Rodrigo riceve in disparte Padre Cristoforo. Il frate accusa il signore di perseguitare Lucia e gli minaccia la vendetta di Dio.
Don Rodrigo scaccia il frate che prima di lasciare il palazzo ha la promessa di un vecchio e buon servitore che sarà avvertito degli eventuali progetti infami del suo padrone.
Intanto, in casa di Lucia, Agnese espone ai due giovani il progetto di strappare il matrimonio a don Abbondio, presentandosi a lui con due testimoni e dichiarando l'intenzione di sposarsi.
Sembra che secondo l'uso il matrimonio sarà così ugualmente valido. Lucia è riluttante; Renzo, entusiasta, esce in cerca dei due testimoni e li trova in Tonio, cui promette di pagare un debito che costui ha col curato, e nel fratello di lui, Gervaso.

"La vostra protezione! - esclamò, dando indietro due passi, postandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull'anca, alzando la sinistra con l'indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati:
-la vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.-"


 


Scena 7: Renzo Lucia Agnese (Capitolo VII)

Padre Cristoforo annuncia desolato alle due donne il fallimento della sua missione.
Furore di Renzo, Lucia acconsente all'idea della madre Agnese.
Intanto nel paese si vede gente strana, e un mendicante va alla casetta di Lucia a chiedere l'elemosina con l'aria di esplorare il luogo.
Sono gli uomini di don Rodrigo che studiano il modo di rapire Lucia, agli ordini del capo dei bravi, il Griso.
A sera, i due giovani, Agnese e i testimoni s'avviano in silenzio verso la casa di don Abbondio.

"Sebbene nessuno dei tre sperasse molto nel tentativo del padre Cristoforo,…
… la trista certezza fu un colpo per tutti.
Le donne abbassarono il capo; ma nell'animo di Renzo, l'ira prevalse all'abbattimento."


 


Scena 8: Fallimento del matrimonio a sorpresa (Cap. VIII)

È il capitolo della «notte degli imbrogli», che comincia col fallimento del tentativo di matrimonio «a sorpresa»; don Abbondio con furia inusitata, si libera degli intrusi e dà l'allarme: il campanaro Ambrogio, credendo la canonica invasa dai ladri, suona la campana a martello. Il gruppo di Renzo cerca scampo per la campagna. Sono sorpresi anche i bravi che in azione per rapire Lucia, hanno trovato vuota la sua casa; e così anche un ragazzetto, Menico, che padre Cristoforo ha mandato alla casa di Lucia a scongiurarla di correre da lui, viene bloccato dai bravi, che tuttavia, spaventati dall'allarme , lo lasciano libero. Così Menico riesce ad incontrare il gruppo di Renzo e ad avvertire i fuggitivi di recarsi al convento. Tra i due gruppi in fuga, s'inserisce l'agitazione del paese che, svegliato, non riesce a capire che cosa stia succedendo. Renzo e le due donne giungono al convento dove trovano già organizzata da padre Cristoforo la loro fuga dal paese, per sottrarsi alle minacce di don Rodrigo.

 

"…apparvero Renzo e Lucia. Don Abbondio, vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s'infuriò…
... Renzo mise a proferire le parole: - signor curato, in presenza di questi testimoni, quest'è mia moglie -…. La poveretta, con quella sua voce soave, e allora tutta tremante, aveva appena potuto proferire: - e questo... - che don Abbondio le aveva buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul viso, per impedirle di pronunziare intera la formola. … … e intanto gridava quanto n'aveva in canna: - Perpetua! Perpetua! tradimento! aiuto! -…"


 


Scena 9: I tre fuggiaschi (Capitolo IX)

Le due donne andranno a Monza, Renzo a Milano, muniti di lettere di presentazione per i cappuccini, amici del padre.
I tre fuggiaschi s'imbarcano e in piena notte attraversano il lago.
A Monza, mentre Renzo prosegue per Milano, Lucia e Agnese vengono ospitate nel convento di una «Signora» (la monaca di Monza) di cui l'Autore ci narra la storia.
Il suo nome è Gertrude; figlia di un principe milanese, è stata monacata dai suoi con crudele determinazione, nonostante il suo carattere lontano da ogni vocazione religiosa.

"… guardò da quella parte, e vide una finestra d'una forma singolare, con due grosse e fitte grate di ferro, distanti l'una dall'altra un palmo; e dietro quelle una monaca ritta. Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un'impressione di bellezza, ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non d'inferiore bianchezza; un'altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d'un nero saio…"

 


Scena 10: Suor Gertrude (Capitolo X)

Continua la storia di suor Gertrude: costretta al convento, essa ha segretamente allacciato una relazione amorosa con un giovane, Egidio, «scellerato di professione», che abita nella casa confinante col giardino interno del monastero.
La relazione dura già da tempo e circa un anno prima ha avuto un momento drammatico: Gertrude aiutata dall'amante, ha fatto scomparire una conversa, che aveva scoperto la loro tresca.

"Gertrude fu accettata. Lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora d'entrar più presto che fosse possibile, nel monastero. Non c'era sicuramente chi volesse frenare una tale impazienza. Fu dunque fatta la sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l'abito. Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripetè, e fu monaca per sempre."
 



Scena 11: Renzo in giro per Milano “I tumulti” (Capitolo XI)

Al paese intanto i bravi, fallita la missione, hanno riferito a don Rodrigo la fuga delle due donne.
Il cugino di lui, il conte Attilio, fiutando nello smacco la mano di padre Cristoforo, promette di fargli avere una lezione dai suoi superiori.
Il Griso, a sua volta, scopre che Lucia è a Monza e che Renzo è stato indirizzato a Milano, dove è alla ricerca del convento cui l'ha inviato padre Cristoforo e si propone di star fuori del tumulto

"L'uomo reggeva a stento sulle spalle un gran sacco di farina, ….Ma più sconcia era la figura della donna: un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica da due braccia piegate: come una pentolaccia a due manichi; ….. quel gran corpo era la sottana che la donna teneva per il lembo, con dentro farina quanta ce ne poteva stare, e un po' di più…
Il ragazzotto teneva con tutt'e due le mani sul capo una paniera colma di pani; ma, per aver le gambe più corte de' suoi genitori, rimaneva a poco a poco indietro, e, allungando poi il passo ogni tanto, per raggiungerli, la paniera perdeva l'equilibrio, e qualche pane cadeva. - Buttane via ancor un altro, buono a niente che sei, - disse la madre, digrignando i denti verso il ragazzo. - Io non li butto via; cascan da sé: com'ho a fare? - rispose quello. - Ih! buon per te, che ho le mani impicciate, - riprese la donna..."


 


Scena 12: “I tumulti” (Capitolo XII)

La vicenda romanzata, a questo punto, a dar sempre più l'impressione di una «storia vera», s'innesta in un fatto storico realmente accaduto: la rivolta milanese di San Martino, dell'11 novembre 1628, quando, esasperato dalla fame e dalla politica inetta del vicegovernatore Ferrer, il popolo dette l'assalto ai forni.
Renzo s'inserisce così nell'avvenimento e assiste al tumulto del saccheggio del «forno delle grucce».

"…coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati poi con gli uni e con gli altri, c'eran coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine più co' fiocchi. - Al forno ! al forno! - si grida….
…e incalzati da quelli di dietro, spinti anch'essi da altri, come flutti da flutti, via via fino al l'estremità della folla, che andava sempre crescendo..."

 



Scena 13: Assalto alla casa del vicario – Ferrer. (Capitolo XIII)

Saccheggiato il forno, la folla si rivolta contro il vicario di provvisione, cioè il funzionario addetto al vettovagliamento della città.
Inferocita si getta all’assalto della casa del vicario e soltanto l'intervento del Ferrer giova a salvare il vicario dal linciaggio.

"…all'estremità della folla, dalla parte opposta a quella dove stavano i soldati, era arrivato in carrozza Antonio Ferrer, il gran cancelliere; …
…- In prigione il vicario! Viva Ferrer! Largo a Ferrer! -..."


 

 

 

 

 

 

 

 


Scena 14: Renzo all’osteria (Capitolo XIV)

Eccitato da questi fatti, Renzo, trovatosi in mezzo a un crocchio di gente, fa un discorsetto sulle ingiustizie dei potenti, a sfogo delle proprie pene.
Uno sbirro in borghese porta Renzo all'osteria, lo fa bere e riesce anche a carpirgli le sue generalità.
Del tutto ubriaco, Renzo va a dormire.

"- Al pane, - disse Renzo, ad alta voce e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza -. E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: - ecco il pane della provvidenza!
All'esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon mercato! -A buon mercato? - disse Renzo: - gratis et amore.-"


 


Scena 15: Arresto di Renzo (Capitolo XV)

Al mattino è svegliato dalle guardie che tentano di condurlo al palazzo di giustizia con la pesante accusa di sedizione pubblica.
Ma per strada gli sbirri che hanno arrestato Renzo sono circondati dalla folla minacciosa: Renzo può così sfuggire dalle loro mani.

"…il notaio fa un altro cenno a' birri; i quali afferrano, l'uno la destra, l'altro la sinistra del giovine, e in fretta in fretta gli legano i polsi …"
 

 

 



 

 

 

 

 

 

Scena 16: La fuga di Renzo (Capitolo XVI)

Prosegue la fuga di Renzo: uscito fortunosamente da Milano, si incammina verso Bergamo, dove spera di trovare aiuto dal cugino Bortolo, fuori dei confini dello Stato.
A Gorgonzola, soffermatosi in un’osteria, apprende che quel giorno la giustizia milanese s'è lasciata sfuggire dalle mani uno dei responsabili della rivolta; e capisce che quel tale è lui.
Riprende al più presto la strada, atterrito per il rischio gravissimo che ha corso.

"-Scappa, scappa, galantuomo: lì c'è un convento, ecco là una chiesa; di qui, di là, - si grida a Renzo da ogni parte. In quanto allo scappare, pensate se aveva bisogno di consigli."

 

 

 


Scena 17: Passaggio dell’Adda (Capitolo XVII)

Giunge in piena notte all'Adda, allora confine tra gli Stati di Milano e di Venezia.
All'alba, un barcaiolo lo porta di là dal fiume, in salvo.
A Bergamo, il cugino gli promette lavoro.

"…è sul ciglio della riva, guarda giù; e, di tra i rami, vede una barchetta di pescatore, che veniva adagio, contr'acqua, radendo quella sponda. Scende subito per la più corta, tra i pruni; è sulla riva; dà una voce leggiera leggiera al pescatore; e, con l'intenzione di far come se chiedesse un servizio di poca importanza, ma, senza avvedersene, in una maniera mezzo supplichevole, gli accenna che approdi.
Il pescatore gira uno sguardo lungo la riva, guarda attentamente lungo l'acqua che viene, si volta a guardare indietro, lungo l'acqua che va, e poi dirizza la prora verso Renzo, e approda.
Renzo che stava sull'orlo della riva, quasi con un piede nell'acqua, afferra la punta del battello, ci salta dentro, e dice: - mi fareste il servizio, col pagare, di tragittarmi di là? - Il pescatore l'aveva indovinato, e già voltava da quella parte. Renzo, vedendo sul fondo della barca un altro remo, si china, e l'afferra."


 

 

Scena 18: Apprensione di Agnese: “Agnese da fra Galdino” (Capitolo XVIII)

Al paesello, gli sbirri ricercano inutilmente Renzo. Don Rodrigo apprende così le disavventure del suo rivale; e intenzionato sempre di più a rapire Lucia, pensa di ricorrere a un uomo più potente di lui per giungere al rifugio della ragazza.
Agnese, preoccupata per la mancanza di notizie, cerca anch'essa Renzo al paese, dove apprende da fra Galdino che padre Cristoforo è stato trasferito a Rimini.


"Agnese smontò sulla piazzetta del convento, lasciò andare il suo conduttore con molti: Dio ve ne renda merito; e giacché era lì, volle, prima d'andare a casa, vedere il suo buon frate benefattore. Sonò il campanello; chi venne a aprire, fu fra Galdino, quel delle noci.
-Oh! la mia donna, che vento v'ha portata?
-Vengo a cercare il padre Cristoforo.
-Il padre Cristoforo? Non c'è.
-Oh! starà molto a tornare?
-Ma...? - disse il frate, alzando le spalle, e ritirando nel cappuccio la testa rasa.
-Dov'è andato?
-A Rimini.
-A?
-A Rimini.
-Dov'è questo paese?
-Eh eh eh! - rispose il frate, trinciando verticalmente l'aria con la mano distesa, per significare una gran distanza.
-Oh povera me! Ma perché è andato via così all'improvviso?
-Perché ha voluto così il padre provinciale."


 


Scena 19: L’Innominato (Capitolo XIX)

Responsabile della sua partenza è il conte Attilio, che a Milano è riuscito a convincere il conte zio, importante personaggio, a chiedere al padre provinciale dei cappuccini l'allontanamento del frate per una missione di parecchi mesi.
Don Rodrigo agisce a sua volta recandosi dal potente signore che lo aiuterà a rapire Lucia, l'Innominato.

"Ma la fama di questo nostro era già da gran tempo diffusa in ogni parte del milanese: per tutto, la sua vita era un soggetto di racconti popolari; e il suo nome significava qualcosa d'irresistibile, di strano, di favoloso.
Il sospetto che per tutto s'aveva de' suoi collegati e de' suoi sicari, contribuiva anch'esso a tener viva per tutto la memoria di lui.
Non eran più che sospetti; giacché chi avrebbe confessata apertamente una tale dipendenza? ma ogni tiranno poteva essere un suo collegato, ogni malandrino, uno de' suoi; e l'incertezza stessa rendeva più vasta l'opinione, e più cupo il terrore della cosa."


 


Scena 20: Ratto di Lucia (Capitolo XX)

Don Rodrigo convince all'impresa l'Innominato che manda il capo dei suoi bravi, il Nibbio, da quell'Egidio, che sa in relazione con la monaca di Monza.
Gertrude, sollecitata dall'amante, fa uscire con una scusa Lucia dal convento: i bravi, guidati dal Nibbio, possono rapire Lucia e portarla al castello del loro signore.

"-Monza è di qua... - e si voltava, per accennar col dito; quando l'altro compagno (era il Nibbio), afferrandola d'improvviso per la vita, l'alzò da terra.
Lucia girò la testa indietro atterrita, e cacciò un urlo; il malandrino la mise per forza nella carrozza: uno che stava a sedere davanti, la prese e la cacciò, per quanto lei si divincolasse e stridesse, a sedere dirimpetto a sé: un altro, mettendole un fazzoletto alla bocca, le chiuse il grido in gola"


 


Scena 21: Lucia al castello dell’Innominato (Cap. XXI)

Il racconto che il Nibbio fa al padrone sul rapimento di Lucia, e le lacrime di Lucia al castello dell'Innominato scuotono e turbano il potente signore, già da tempo scontento della sua vita.
Nella notte, mentre la ragazza fa voto di consacrarsi alla Madonna se verrà liberata, egli è assalito da una profonda crisi che lo spinge a meditare il suicidio.
Ma all'alba sente suonare le campane nella valle e si alza con nuovi e buoni propositi.

"A quella voce, la vecchia fece tre salti; e subito si sentì scorrere il paletto negli anelli, e l'uscio si spalancò. L'innominato, dalla soglia, diede un'occhiata in giro; e, al lume d'una lucerna che ardeva sur un tavolino, vide Lucia rannicchiata in terra, nel canto il piú lontano dall'uscio. "Chi t'ha detto che tu la buttassi là come un sacco di cenci, sciagurata?" disse alla vecchia, con un cipiglio iracondo. "S'è messa dove le è piaciuto," rispose umilmente colei: "io ho fatto di tutto per farle coraggio: lo può dire anche lei; ma non c'è stato verso." "Alzatevi," disse l'innominato a Lucia, andandole vicino.
Ma Lucia, a cui il picchiare, l'aprire, il comparir di quell'uomo, le sue parole, avevan messo un nuovo spavento nell'animo spaventato, stava piú che mai raggomitolata nel cantuccio, col viso nascosto tra le mani, e non movendosi, se non che tremava tutta.
"Alzatevi, ché non voglio farvi del male... e posso farvi del bene," ripeté il signore... "Alzatevi!" tonò poi quella voce, sdegnata d'aver due volte comandato invano."


 


Scena 22: Il cardinal Federigo Borromeo (Cap. XXII)

Viene riferito al signore che il cardinale Federigo Borromeo è giunto in paese in visita pastorale. L'Innominato decide di andare da lui.
Gran parte del capitolo è occupata in una biografia del grande cardinale milanese.

"La sua vita è come un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume.
Tra gli agi e le pompe, badò fin dalla puerizia a quelle parole d'annegazione e d'umiltà, a quelle massime intorno alla vanità de' piaceri, all'ingiustizia dell'orgoglio, alla vera dignità e a' veri beni, che, sentite o non sentite ne' cuori, vengono trasmesse da una generazione all'altra, nel più elementare insegnamento della religione.
Badò, dico, a quelle parole, a quelle massime, le prese sul serio, le gustò, le trovò vere; vide che non potevan dunque esser vere altre parole e altre massime opposte, che pure si trasmettono di generazione in generazione, con la stessa sicurezza, e talora dalle stesse labbra; e propose di prender per norma dell'azioni e de' pensieri quelle che erano il vero."


 


Scena 23: Conversione dell’Innominato (Cap. XXIII)

In questo capitolo si concretizza la giustamente famosa «conversione dell'Innominato».
Incontro tra l'Innominato e Federigo e abbraccio di riconciliazione.
Il cardinale, conosciuta la vicenda di Lucia, fa chiamare don Abbondio, presente con gli altri parroci della zona, e gli dà l'incarico di provvedere al recupero della ragazza.
Viaggio di don Abbondio, terrorizzato, in compagnia del terribile signore, fino al castello.

"L'innominato stava attonito a quel dire così infiammato, a quelle parole, che rispondevano tanto risolutamente a ciò che non aveva ancor detto, né era ben determinato di dire; e commosso ma sbalordito, stava in silenzio. "E che?" riprese, ancor piú affettuosamente, Federigo: "voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?""Una buona nuova, io? Ho l'inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate da un par mio.""Che Dio v'ha toccato il cuore, e vuol farvi suo," rispose pacatamente il cardinale."

 


Scena 24: Liberazione di Lucia (Capitolo XXIV)

Lucia è liberata e condotta provvisoriamente in paese, nella casa di un buon sarto, dove subito giunge Agnese e poco dopo il cardinale, cui Agnese racconta le loro vicende.
L'Innominato, al castello, avverte i suoi uomini che potranno restare al suo servizio solo se intenzionati come lui a mutar vita.

"Il lettighiero, stimolato da' cenni dell'innominato, faceva andar di buon passo le sue bestie; le due cavalcature andavan dietro dietro, con lo stesso passo; onde seguiva che, a certi luoghi più ripidi, il povero don Abbondio, come se fosse messo a leva per di dietro, tracollava sul davanti, e, per reggersi, doveva appuntellarsi con la mano all'arcione; e non osava però pregare che s'andasse più adagio, e dall'altra parte avrebbe voluto esser fuori di quel paese più presto che fosse possibile.
Oltre di ciò, dove la strada era sur un rialto, sur un ciglione, la mula, secondo l'uso de' pari suoi, pareva che facesse per dispetto a tener sempre dalla parte di fuori, e a metter proprio le zampe sull'orlo; e don Abbondio vedeva sotto di sé, quasi a perpendicolo, un salto, o come pensava lui, un precipizio. “Anche tu, - diceva tra sé alla bestia, - hai quel maledetto gusto d'andare a cercare i pericoli, quando c'è tanto sentiero!”


 


Scena 25: Il cardinale a casa di don Abbondio (Capitolo XXV)

Don Rodrigo pensa bene di lasciare il paese e tornarsene a Milano, prima d'essere costretto a incontrare il prelato. Il cardinale viene accolto da don Abbondio al quale chiede informazioni su Renzo.
Lucia viene ospitata da una ricca signora, donna Prassede, col beneplacito del cardinale, il quale finalmente chiede a don Abbondio perché non abbia celebrato le nozze dei due giovani.

"Ritiratosi poi nella casa del parroco, tra gli altri discorsi, gli domandò informazione di Renzo. Don Abbondio disse ch'era un giovine un po' vivo, un po' testardo, un po' collerico.
Ma, a piú particolari e precise domande, dovette rispondere ch'era un galantuomo, e che anche lui non sapeva capire come, in Milano, avesse potuto fare tutte quelle diavolerie che avevan detto."


 


Scena 26: I cento scudi d’oro (Capitolo XXVI)

Celebre dialogo tra Federigo e don Abbondio, che sembra ravvedersi, anche se non nasconde le sue buone ragioni. L'Innominato regala a Lucia una dote di cento scudi d'oro; ma ad Agnese che porta alla figlia la buona notizia, Lucia rivela il voto fatto la notte del rapimento.
Decidono così di mandare metà della somma a Renzo e di pregarlo di non pensar più al matrimonio.
Ma non riescono a comunicare con lui: il giovane ha mutato il proprio nome in quello di Antonio Rivolta e ha cambiato filanda.

"Il cardinale era anche lui sulle mosse per continuar la sua visita, quando arrivò, e chiese di parlargli il curato della parrocchia, in cui era il castello dell'innominato.
Introdotto, gli presentò un gruppo e una lettera di quel signore, la quale lo pregava di far accettare alla madre di Lucia cento scudi d'oro ch'eran nel gruppo, per servir di dote alla giovine, o per quell'uso che ad esse sarebbe parso migliore; lo pregava insieme di dir loro, che, se mai, in qualunque tempo, avessero creduto che potesse render loro qualche servizio, la povera giovine sapeva pur troppo dove stesse; e per lui, quella sarebbe una delle fortune piú desiderate.
Il cardinale fece subito chiamare Agnese, le riferì la commissione, che fu sentita con altrettanta soddisfazione che maraviglia; e le presentò il rotolo, ch'essa prese, senza far gran complimenti. "Dio gliene renda merito, a quel signore,"..."


 


Scena 27: Donna Prassede e don Ferrante (Capitolo XXVII)

Renzo riesce a mettersi in comunicazione con Agnese, dalla quale riceve il denaro e la notizia della rinuncia di Lucia.
Egli è sorpreso e amareggiato dalla rivelazione; a sua volta Lucia, ospite presso Donna Prassede e don Ferrante, stenta a dimenticarlo, anche perché donna Prassede, per toglierglielo dalla mente, non fa che parlare di lui.

"Però, se il non pensare a lui era impresa disperata, a pensarci meno, e meno intensamente che il cuore avrebbe voluto, Lucia ci riusciva fino a un certo segno: ci sarebbe anche riuscita meglio, se fosse stata sola a volerlo.
Ma c'era donna Prassede, la quale, tutta impegnata dal canto suo a levarle dall'animo colui, non aveva trovato miglior espediente che di parlargliene spesso. "Ebbene?" le diceva: "non ci pensiam più a colui?"
"Io non penso a nessuno," rispondeva Lucia."

 



Scena 28: Arrivano i Lanzichenecchi (Capitoli XXVIII-XXIX)

A Milano, superata apparentemente la carestia, giunge la notizia di un nuovo flagello: arrivano i Lanzichenecchi, truppe tedesche venute all'assedio di Casale Monferrato.

"Mentre quell'esercito se n'andava da una parte, quello di Ferdinando s'avvicinava dall'altra; aveva invaso il paese de' Grigioni e la Valtellina; si disponeva a calar nel milanese. Oltre tutti i danni che si potevan temere da un tal passaggio, eran venuti espressi avvisi al tribunale della sanità, che in quell'esercito covasse la peste, della quale allora nelle truppe alemanne c'era sempre qualche sprazzo..."

 

 

 

 


Scena 29: Ospitalità dell’Innominato (Cap.XXIX-XXX)

Per sfuggire ai saccheggi in paese, don Abbondio, Perpetua e Agnese pensano di rifugiarsi nel castello dell'Innominato, dove confluisce, ben protetta, la gente della zona.
Accolti amorevolmente dal signore, i tre attendono il passaggio dei Lanzichenecchi.

"Signor curato," disse, quando gli fu vicino, "avrei voluto offrirle la mia casa in miglior occasione; ma, a ogni modo, son ben contento di poterle esser utile in qualche cosa." "Confidato nella gran bontà di vossignoria illustrissima," rispose don Abbondio, "mi son preso l'ardire di venire, in queste triste circostanze, a incomodarla: e, come vede vossignoria illustrissima, mi son preso anche la libertà di menar compagnia. Questa è la mia governante..." "Benvenuta," disse l'innominato."E questa," continuò don Abbondio, "è una donna a cui vossignoria ha già fatto del bene: la madre di quella... di quella..."
"Di Lucia," disse Agnese."Di Lucia!" esclamò l'innominato, voltandosi, con la testa bassa, ad Agnese.
"Del bene, io! Dio immortale! Voi, mi fate del bene, a venir qui... da me... in questa casa. Siate la benvenuta. Voi ci portate la benedizione."
"Oh giusto!" disse Agnese: "vengo a incomodarla. Anzi," continuò, avvicinandosegli all'orecchio, "ho anche a ringraziarla..."
L'innominato troncò quelle parole, domandando premurosamente le nuove di Lucia"


 


Scena 30: La peste (Capitoli XXXI e XXXII)

Quando ritornano alle loro case, le trovano orribilmente saccheggiate dai soldati nemici.
Inoltre il passaggio delle milizie straniere ha lasciato la peste, che comincia a imperversare a Milano e nel contado.

"Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un'intera famiglia. Nell'ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, alla gente a cavallo, e a piedi, i cadaveri di quella famiglia furono, d'ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza.
Un grido di ribrezzo, di terrore, s'alzava per tutto dove passava il carro; un lungo mormorìo regnava dove era passato; un altro mormorìo lo precorreva.
La peste fu piú creduta: ma del resto andava acquistandosi fede da sé, ogni giorno piú; e quella riunione medesima non dové servir poco a propagarla"

 



Scena 31: Gli untori (Capitoli XXXI e XXXII)

In città la confusione è grande. Il cardinale ordina una processione espiatoria che non fa che accrescere il contagio.
Dovunque si parla di untori, cioè di agenti del nemico incaricati di spargere la peste ungendo le porte e i muri delle case. Si istituiscono anche «infami» processi contro innocenti, accusati dall'isterismo popolare.

"Con una tal persuasione che ci fossero untori, se ne doveva scoprire, quasi infallibilmente: tutti gli occhi stavano all'erta; ogni atto poteva dar gelosia. E la gelosia diveniva facilmente certezza, la certezza furore. ……Tre giovani compagni francesi, un letterato, un pittore, un meccanico, venuti per veder l'Italia, per istudiarvi le antichità, e per cercarvi occasion di guadagno, s'erano accostati a non so qual parte esterna del duomo, e stavan lì guardando attentamente.
Uno che passava, li vede e si ferma; gli accenna a un altro, ad altri che arrivano: si formò un crocchio, a guardare, a tener d'occhio coloro, che il vestiario, la capigliatura, le bisacce, accusavano di stranieri e, quel ch'era peggio, di francesi.
Come per accertarsi ch'era marmo, stesero essi la mano a toccare. Bastò. Furono circondati, afferrati, malmenati, spinti, a furia di percosse, alle carceri.
Per buona sorte, il palazzo di giustizia è poco lontano dal duomo; e, per una sorte ancor più felice, furon trovati innocenti, e rilasciati."


 


Scena 32: Ritorno di Renzo al paese (Capitolo XXXIII)

Tra i colpiti dalla peste è don Rodrigo, tradito dal Griso e consegnato ai monatti, i raccoglitori di morti e contagiati. Renzo, superata la malattia, si mette in cerca di Lucia, torna al paese, dove trova la desolazione; da don Abbondio apprende che Perpetua è morta insieme con molti altri, che Agnese è presso parenti a Pasturo e che Lucia è a Milano, presso la famiglia di don Ferrante.

"Ed ecco spuntar da una cantonata, e venire avanti una cosa nera, che riconobbe subito per don Abbondio. Camminava adagio adagio, portando il bastone come chi n'è portato a vicenda; e di mano in mano che s'avvicinava, sempre piú si poteva conoscere nel suo volto pallido e smunto, e in ogni atto, che anche lui doveva aver passata la sua burrasca. Guardava anche lui; gli pareva e non gli pareva: vedeva qualcosa di forestiero nel vestiario; ma era appunto forestiero di quel di Bergamo. "E' lui senz'altro!" disse tra sé, e alzò le mani al cielo, con un movimento di maraviglia scontenta, restandogli sospeso in aria il bastone che teneva nella destra; e si vedevano quelle povere braccia ballar nelle maniche, dove altre volte stavano appena per l'appunto. Renzo gli andò incontro, allungando il passo, e gli fece una riverenza; ché, sebbene si fossero lasciati come sapete, era però sempre il suo curato. "Siete qui, voi ?" esclamò don Abbondio. "Son qui, come lei vede. Si sa niente di Lucia?" "Che volete che se ne sappia? Non se ne sa niente. E' a Milano, se pure è ancora in questo mondo ..."

 


Scena 33: “…verso sera salirete a prendere anche me…” ( Capitolo XXXIV )

Renzo entra in Milano. Assiste all'episodio patetico della madre di Cecilia, la bambina morta di peste: consegnandone il corpo al monatto la madre dice “…verso sera salirete a prendere anche me…” . Trovata la casa di don Ferrante, apprende che Lucia è al lazzaretto, l'ospedale degli appestati. Scambiato per un untore, riesce a stento a sottrarsi a un gruppetto di gente imbestialita.

"Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono piú forte del sonno… …La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: "addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri." Poi voltatasi di nuovo al monatto, "voi," disse, "passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola."

 


Scena 34: Il lazzaretto (Capitolo XXXV)

Renzo entra nel lazzaretto: l’organizzazione imposta dai cappuccini domina sul brulicar di sani e malati, serventi e folli, impazziti per la peste.
E’ un luogo di grandi sofferenze.

"S'immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt'ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichìo, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi.
Tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne lì, sopraffatto e compreso.
Questo spettacolo, noi non ci proponiam certo di descriverlo a parte a parte, né il lettore lo desidera; solo, seguendo il nostro giovine nel suo penoso giro, ci fermeremo alle sue fermate, e di ciò che gli toccò di vedere diremo quanto sia necessario a raccontar ciò che fece, e ciò che gli seguì."


 


Scena 35: Lazzaretto (Capitolo XXXV)

Renzo vede un primo gruppo di malati, tenuti in un recinto a parte: è quello dei bambini, allevati da nutrici e capre: alcuni sono neonati e richiedono costante cura ed attenzione

"…nella varietà de' lamenti e nella confusione del mormorìo, cominciò a distinguere un misto singolare di vagiti e di belati; fin che arrivò a un assito scheggiato e sconnesso, di dentro il quale veniva quel suono straordinario.
Mise un occhio a un largo spiraglio, tra due asse, e vide un recinto con dentro capanne sparse, e, così in quelle, come nel piccol campo, non la solita infermeria, ma bambinelli a giacere sopra materassine, o guanciali, o lenzoli distesi, o topponi; e balie e altre donne in faccende; e, ciò che piú di tutto attraeva e fermava lo sguardo, capre mescolate con quelle, e fatte loro aiutanti: uno spedale d'innocenti, quale il luogo e il tempo potevan darlo.
Era, dico, una cosa singolare a vedere alcune di quelle bestie, ritte e quiete sopra questo e quel bambino, dargli la poppa;…
…Qua e là eran sedute balie con bambini al petto; alcune in tal atto d'amore, da far nascer dubbio nel riguardante, se fossero state attirate in quel luogo dalla paga, o da quella carità spontanea che va in cerca de' bisogni e de' dolori…."

 



Scena 36: Don Rodrigo al lazzaretto (Capitolo XXXV)

Nel lazzaretto, trova padre Cristoforo, tornato da Rimini a curare gli appestati, che gli mostra don Rodrigo morente. Superati i propositi vendicativi, Renzo lo perdona.

"Renzo intanto, girando, con una curiosità inquieta, lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro infermi, ne distinse uno da una parte sur una materassa, involtato in un lenzolo, con una cappa signorile indosso, a guisa di coperta: lo fissò, riconobbe don Rodrigo, e fece un passo indietro; ma il frate, facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo tirò appiè del covile, e, stesavi sopra l'altra mano, accennava col dito l'uomo che vi giaceva.
Stava l'infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l'avreste detto il viso d'un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d'una vita tenace.
Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere."

 

 


Scena 37: Renzo incontra al lazzaretto Lucia e Padre Cristoforo (Capitolo XXXVI)

Renzo incontra finalmente Lucia.
L'amarezza per la riconferma del voto fatto alla Madonna, è risolta da padre Cristoforo, che scioglie Lucia dal voto. Lucia resta con una ricca signora che ha perduto i suoi e l'ha presa a ben volere, mentre Renzo torna ad avvertire Agnese del prossimo ritorno della figliola.

"Il frate chiamò con un cenno il giovine, il quale se ne stava nel cantuccio il più lontano, guardando (giacché non poteva far altro) fisso fisso al dialogo in cui era tanto interessato; e, quando quello fu lì, disse, a voce più alta, a Lucia: "con l'autorità che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta dal voto di verginità, annullando ciò che ci poté essere d'inconsiderato, e liberandovi da ogni obbligazione che poteste averne contratta."
Pensi il lettore che suono facessero all'orecchio di Renzo tali parole.
Ringraziò vivamente con gli occhi colui che le aveva proferite; e cercò subito, ma invano, quelli di Lucia. "Tornate, con sicurezza e con pace, ai pensieri d'una volta," seguì a dirle il cappuccino: "chiedete di nuovo al Signore le grazie che Gli chiedevate, per essere una moglie santa; e confidate che ve le concederà più abbondanti, dopo tanti guai..."

 



Scena 38: Renzo ritorna al paese e si incontra con Agnese (Capitolo XXXVII)

Uscito dal lazzaretto Renzo è sorpreso da un temporale, quello che porterà via la peste.
Si incontra con Agnese, torna a Bergamo dal cugino per cercarsi una casa, è di nuovo al paesello ad attendervi Lucia che, trascorsa la quarantena, si accinge a ritornare. Apprende della morte di padre Cristoforo, di donna Prassede e don Ferrante, e del processo contro la monaca di Monza.

"Agnese gl'indicò un orto ch'era dietro alla casa; e soggiunse: "entrate 1ì, e vedrete che c'è due panche, l'una in faccia all'altra, che paion messe apposta. Io vengo subito." Renzo andò a mettersi a sedere sur una: un momento dopo, Agnese si trovò lì sull'altra: e son certo che, se il lettore, informato come è delle cose antecedenti, avesse potuto trovarsi lì in terzo, a veder con gli occhi quella conversazione così animata, a sentir con gli orecchi que' racconti, quelle domande, quelle spiegazioni, quell'esclamare, quel condolersi, quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il padre Cristoforo, e tutto il resto, e quelle descrizioni dell'avvenire, chiare e positive come quelle del passato, son certo, dico, che ci avrebbe preso gusto, e sarebbe stato l'ultimo a venir via. Ma d'averla sulla carta tutta quella conversazione, con parole mute, fatte d'inchiostro, e senza trovarci un solo fatto nuovo, son di parere che non se ne curi molto, e che gli piaccia più d'indovinarla da sé. La conclusione fu che s'anderebbe a metter su casa tutti insieme in quel paese del bergamasco dove Renzo aveva già un buon avviamento..."
 



Scena 39: Le nozze (Capitolo XXXVIII)

Lucia ritorna al paese. Don Abbondio si decide finalmente a celebrare le nozze dei due giovani, ma solo quando viene a sapere che il palazzo di don Rodrigo è ora occupato dall'erede, un marchese, «bravissim'uomo» che sentita la storia di Lucia e di Renzo, è disposto ad acquistare ad alto prezzo le loro casette e a liberare Renzo dall'imbroglio di Milano.
I due sposi, con Agnese, si trasferiscono a Bergamo, dove la famiglia e gli affari prosperano.
Lucia chiude il romanzo con la celebre morale «..lo non sono andata a cercare i guai: sono loro che sono venuti a cercar me... i guai vengono bensì spesso perché ci si è dato cagione; ma la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani...».

"Venne la dispensa, venne l'assolutoria, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella chiesa, dove, proprio per bocca di don Abbondio, furono sposi…
…Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta piú cauta e piú innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.
La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta."

 

 

 

 

CIRCOLO CULTURALE "DON RINALDO BERETTA" - ROBBIANO DI GIUSSANO (MI)