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[Recensione apparsa sulla rivista Archivio Storico Lombardo, a. XLVII (1920/4) pp. 579-583]

VITTORIO ADAMI, Storia documentata dei confini del regno d’Italia, Vol. I, Confine italo-francese, Roma, Stabilimento poligrafico per l’Amministrazione della Guerra, 1919, pp. 456 con carte e piani.

Il volume, che esce sotto gli auspicii dell’ufficio storico dello Stato Maggiore del regio esercito, è il primo di altri che il colonnello Adami, un competente in questo ramo di studi (1), si propone di offrire agli italiani, perché conoscano la storia dei confini della loro patria.

Nella premessa tratta del confine geografico e storico dell’Italia verso la Francia, del costante orientamento politico di Casa Savoia verso l’Italia, e di un progetto di cessione alla Francia di Nizza e Savoia al principio dei secolo XVIII in cambio della Lombardia. Quindi nella prima parte studia i confini del Nizzardo (dal mare al monte Enciastraia), nella seconda quelli del Delfinato (dal monte Enciastraia alla Rocca di Chardonnet, e nella terza quelli della Savoia (dalla Rocca di Chardonnet al monte Dolent). L’ultima parte è consacrata alle Convenzioni speciali. Ogni parte reca in argomento una copiosa bibliografia. Il volume è, in fine, corredato di ben settant’otto documenti con carte e piani.

La storia del confine politico italo-francese si basa sul fatto della cessione alla Francia delle due provincie di Nizza e Savoia, avvenuta col trattato del 24 marzo 1860, previa la manifestazione della volontà popolare. Rimase perciò fuori questione quella sezione del confine che prospetta il Delfinato: dopo il 1825, essa non è più stata oggetto di nuove operazioni di delimitazione, per cui l’atto internazionale oggi in vigore è ancor quello redatto a Lione il 17 giugno 1825, e il confine in questa parte segue costantemente la displuviale dalla principale catena alpina, salvo una piccola eccezione al Monginevra, dove scende per qualche centinaio di metri sul versante italiano.

Napoleone III, dal momento che il programma di liberazione "dalle Alpi al mare Adriatico" era stato interrotto, sembrava, subito dopo i preliminari di Villafranca. accontentarsi di vedersi pagate le spese di guerra quale compenso dovuto alla Francia. E infatti, il 15 luglio 1859, in Torino, Napoleone diceva a Vittorio Emanuele: "il vostro governo mi pagherà le spese di guerra, e non penseremo più a Nizza ed alla Savoia". Ma nell’ottobre aveva già mutato pensiero. D’altra parte è noto poi come non tutti gli italiani si sentissero favorevoli a questa cessione, specialmente del Nizzardo che vantava una tradizione millenaria di italianità, giacché il Varo fu sempre tenuto quale confine storico d’Italia. Ed è così che Cavour, ritornato al potere sui primi del 1860, cercò di risolvere con avvedutezza lo spinoso problema, riannodandolo a quello dell’Italia Centrale, in modo che il compenso dato a Napoleone per la Lombardia, colla cessione di quei territori, divenisse, come lo fu infatti, il patto col quale si rendesse possibile la proclamazione del Regno d’Italia. Con questo Cavour non intendeva di sacrificare a cuor leggero quelle due province, che anzi, tergiversando sulle prime, si illuse di poter conservare, se non tutta, almeno buona parte della contea di Nizza. Ma poi gli fu forza cedere, poiché per la Francia il Possesso della sola Savoia era strategicamente nullo senza quello di Nizza. Ad ogni modo egli insisteva che per il Nizzardo la linea di confine dovesse venir tracciata in modo che fosse possibile la difesa della Roia e delle montagne del col di Tenda, donde scende il Tanaro. Sfortunatamente nelle trattative, che precedettero la guerra, non era stata toccata la delicata questione dei confini, e nello stesso trattato di cessione dei 24 marzo non vennero usati in merito che termini molto vaghi. Pertanto le trattative per la definizione divennero assai laboriose, perché Napoleone rimase fisso nell’idea che la delimitazione fosse segnata dal displuvio. Per la difesa dello Stato Sardo, e perciò d’Italia, questo non aveva nulla di inconveniente per la Savoia, e infatti l’accordo fu relativamente facile, nonostante che non si riuscisse, ad ottenere sul versante savoiardo di territorio su cui sorgeva, la fortezza di Lesseillon, posizione importante per la difesa di Torino. Il confine venne così stabilito sugli antichi limiti amministrativi fra il Ducato di Savoia ed il Piemonte, cioè sulla catena principale delle Alpi, e la Savoia fu ceduta sotto condizione che le provincie dei Chiablese e dei Faussigny, dichiarate neutrali nel 1815, rimanessero ancora tali. Il territorio neutralizzato è stato oggetto di molte vicende per il diritto rimasto alla Svizzera di occuparlo in caso di guerra, ed ebbe fine coi recente trattato di Versailles, nel quale all’art. 435 vien sanzionato l’accordo tra la Francia e la Svizzera per l’abrogazione di tutte quelle speciali restrizioni con le quali il regno di Sardegna aveva ceduto la Savoia alla Francia.

Ma per il Nizzardo la cosa cambiava aspetto. Lo Stato Maggiore dell’esercito sardo, per mezzo dei maggior generale Giuseppe Ricci, aveva proposto come indispensabile, per avere una buona frontiera militare, che la cessione non dovesse estendersi oltre la valle dei Varo, di Tinea, Vesubia e del Paglione, e che il limite dei due Stati fosse nominato dalle Alpi Marittime dalla Enciastraia sino al limite Clapier, quindi seguisse il contrafforte che separa le valli di Vesubia e del Paglione da quelle della Roia e della Bevera e scendesse al mare tra Mentone e Monaco. E in realtà pur interpretando in largo senso il significato di versante francese, non si potevano in esso comprendere le sorgenti della Roia, per quanto quei territori allora facessero parte amministrativamente del circondario di Nizza. Il confine avrebbe avuto in tal modo un tracciato razionale, dando alla Francia quella parte dell’alto bacino del Varo, che oggi appartiene all’Italia, e ci avrebbe invece lasciato quella parte mediana della valle della Roia che costituisce il saliente francese di Saorgio. Il proposto tracciato non fu accettato da Napoleone, per cui si dovette lottare con trattative quanto mai difficili e delicate - che l’autore espone in pagine interessanti - onde ottenere un confine il meno possibile dannoso ai fini della nostra difesa militare. Si cercò di ottenere dall’imperatore il territorio delle cacce reali dei camosci, e ciò allo scopo di non cedere quanto più territorio fosse possibile. E a questo riguardo l’autore, in base a documenti, sfata la leggenda che cioè, per salvare al re le sue cacce, si trascurarono esigenze strategiche di primo ordine. In realtà è per merito delle cacce reali, e Napoleone in questo volle essere deferente al desiderio di Vittorio Emanuele, che l’Italia possiede una striscia di territorio nell’alta Tinea e Vesubia sul versante francese delle Alpi Marittime. Napoleone, in una lettera all’Arese dei 3 maggio, dichiarava espressamente che egli aveva diritto di prendere per confini i limiti amministrativi del circondario di Nizza, e che, in via di favore, concedeva di lasciare al Piemonte il colle di Tenda, e di far passare il confine per Saorgio. Il governo sardo tentò inoltre di strappare qualche altro vantaggio col cedere i diritti di Casa Savoia su Monaco, Mentone e Roccabruna, ma con esito negativo: la Francia fece il sordo, e quei territori furono annessi senza che venisse un legale trapasso, rimanendo, la questione ancora insoluta. Ogni mezzo usò Cavour onde scongiurare all’Italia il grave danno del saliente di Saorgio, ma l’imperatore fu irremovibile e fece balenare oscure minacce. Né, d’altra parte, conveniva inimicarlo, perché le sorti d’Italia che in quei giorni venivano maturando dipendevano dal perfetto accordo tra la Francia ed il Piemonte. L’irrazionalità dei tracciato dei confini del Nizzardo verso l’Italia si rese subito così evidente che non mancarono, negli anni successivi, proposte di studiosi d’ambe le parti onde correggerlo, ma i governi rimasero estranei. Tuttavia è giusto osservare che l’importanza strategica e tattica delle testate delle valli di Tinea e Vesubia nelle mani dell’Italia si può dire che equivalga il possesso francese di Saorgio.

Il 10 maggio 1860 veniva presentato alla Camera sarda il trattato conchiuso il 24 marzo tra la Sardegna e la Francia. Fu discusso nei giorni 25-29 maggio, e, benchè sia stato approvato a grandissima maggioranza con 223 voti favorevoli, 36 contrari e 26 astenuti, sollevò, e non a torto, forti critiche. Purtroppo il governo sardo cedendo in modo generico la Savoia e la contea di Nizza, senza prima intendersi bene riguardo ai confini, aveva dato alla Francia il diritto di prendere tutto il territorio amministrativo che formava quelle due provincie, mentre era nell’interesse dello Stato che i confini fossero circoscritti in modo che una difesa rimanesse allo Stato. Altro guaio fu l’aver premesso il plebiscito, che fu quasi unanime per l’annessione alla Francia, senza saper prima qual parte di territorio si dovesse cedere. Ed anche di questo si fece poi forte Napoleone nelle sue pretese, argomento del resto che Cavour seppe poi a sua volta assai bene sfruttare coi plebisciti dell’Italia Centrale.

La formale cessione dei Nizzardo alla Francia ebbe luogo il 14 giugno 1860. Nel protocollo del 27 giugno, nel quale è sanzionata la perdita di Saorgio e vien riconosciuta al Piemonte la sola parte dell’alta valle della Tinca sulla sinistra del torrente, venivano finalmente stabilite le basi generali secondo le quali dovevano determinarsi i nuovi limiti fra il Piemonte e la Francia, sia dal lato della Savoia che di Nizza, e i due governi deliberarono di procedere sul luogo alla ricognizione e allo stabilimento dei rispettivi confini. Cavour poté ancora ottenere per l’Italia, proponendo piccole concessioni reciproche nella determinazione dei confini, l’Ospizio sul colle del Piccolo S. Bernardo che dipende dall’Ordine Mauriziano, ma che però si trova sul versante savoiardo.

Fra le Convenzioni speciali stipulate l’autore ricorda quelle riguardanti l’Ospizio e la parrocchia dei Moncenisio; l’Abbazia di Altacomba in Savoia dove riposano le ceneri degli antichi Conti e Duchi di Savoia; il confine marittimo fra Mentone e Ventimiglia, e fra la Sardegna e la Corsica; i privilegi doganali di alcuni territori di confine; gli agenti campestri e forestali francesi in Territorio italiano; il confine rispetto all’esercizio ferroviario; il regime delle acque del fiume Roia.

Negli anni successivi non mancarono fra i due Stati delle contestazioni di confine, alcune delle quali risolte di comune accordo, altre invece rimaste pendenti. Le vertenze di confine sono sempre di natura molto delicata e difficili a risolversi, per cui ognun vede quale importanza abbia per lo Stato la conservazione scrupolosa dei confini territoriali. Maestra in questo fu la repubblica di Venezia, la quale, prima fra tutti gli antichi stati italiani, vi provvedeva in merito con decreto del 13 settembre 1554. Con la caduta della repubblica la magistratura veneta ai confini cessò di esistere, e gli archivii dei confini, ricchi di documenti, mappe e disegni antichi, vennero spogliati prima dai francesi e poi dagli austriaci, ma quello che è rimasto, scrive l’autore, è più che sufficiente per farci apprezzare i grandi servigi che quella istituzione ha reso alla Repubblica e per farci deplorare che oggi non esista, anche sotto più modesta forma, qualcosa di simile per la tutela dei confini della nostra Italia(2).

R. BERETTA