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UN BENEFATTORE DI ERBA NEL SECOLO XIV

Tra i più antichi benefattori di Erba-Incino ricordati dal Meroni (1), merita di non essere dimenticato un Martino “de la richa”, figlio del quon. Zani di Erba, il quale dispose in morte di legati per rimedio dell’anima sua, ma che per questo non lasciano, almeno in parte, di avere il loro contenuto umanitario. Si trovava il nostro Martino ammalato, e, sentendosi vicino a morire, dettò il 24 ottobre 1348 il suo testamento (2). Premessa l’invocazione al Salvatore e alla Beata Vergine, protestandosi fedele cristiano e come tale di voler morire, viene a dettare la sua ultima volontà, cassando qualsiasi testamento, ordinamento, codicillo e legato che avesse precedentemente fatto. Vuole innanzi tutto che i suoi eredi risarciscano quelle persone le quali provassero di essere state da lui danneggiate colle usure, colle rapine, coi furti. Ordina quindi che si distribuisca, dopo il suo decesso, cinque moggia di pane cotto di mistura (segale e miglio), delle quali una metà da distribuirsi nel giorno annuale di sua morte ai poveri alla porta della canonica d’Incino, previo il suono della campana, e l’altra metà nel giorno dell’Ascensione di casa in casa nei luoghi di Erba, Incino, e Villincino. Al cappellano della chiesa di S. Bartolomeo d’Incino, la qual cappella era stata di recente eretta e dotata da Beltramo “de casselio” (3), allora vescovo di Bologna, lega un moggio di mistura ossia il relativo prezzo che “pro sua rata parte” doveva dividere tra il prevosto, i canonici e i cappellani della chiesa plebana d’Incino, i quali nel giorno annuale della sua morte fossero presenti ai divini uffici da celebrarsi in detta chiesa di S. Eufemia in suffragio dell’anima sua: i sacerdoti celebranti messe dovevano avere inoltre sul detto prezzo sei imperiali ciascuno. A questo scopo obbligava un molino e annessi situati nel territorio di Brugora, detto “molendinum merlatum supra Lambrum sicchum prope cassinis della Brugora cum suis edificijs et dominibus et paramentis molendini et suis pertinentijs et cum terra et prato tenentur cum ipso molendino rozia mediante”: la terra prato era di circa sei pertiche. Volle ancora che, ogni anno nel giorno del suo annuale, si distribuisse in perpetuo un sestario di sale ai poveri dei tre luoghi sopradetti, di casa in casa, dove maggiore fosse il bisogno, legandolo su di un suo “hospitium quod est et iacet in territorio de herba ubi dicitur incantarana cum orto seu dosso”.
Dell’esecuzione e distribuzione di questi legati incaricava il prete Facio “de Saccho” di Erba, beneficiale della chiesa di S. Giorgio “de mornigo” (4), di S. Maria di Villincino, di S. Maurizio “de medate” (5) e di S. Cassiano di Bucinigo, “que omnes ecclesie unum corpus existunt”, il quale li riceveva in nome suo e dei suoi successori e parimenti in nome dei consoli della Castellanza d’Erba e loro successori, col diritto di privare di detti beni i suoi eredi qualora vi si opponessero. Legava inoltre al prete Ardico “de Carbonibus” beneficiale della sopradetta chiesa di S. Bartolomeo di Incino, e per lui alla capellania, in perpetuo due messe ogni mese per l’anima sua, assegnandovi un prato di circa due pertiche e mezza situato nel territorio di Erba “ubi dicitur in astesano” (6).
R. BERETTA


[Articolo apparso sulla rivista: Archivio Storico Lombardo, XLIII (1916/3), pp. 632-633]