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GLI ANTICHI MONASTERI DI CASATENOVO

Capo I - INTRODUZIONE

Casatenovo è tra i più ameni e progrediti paesi della Brianza meridionale. L’amenità e la fertilità del luogo e dei dintorni trasse antiche genti a stabilirvi la loro dimora, come ce lo provano le tombe galliche a cremazione ivi reperte in diversi tempi e circostanze, e le tombe, are votive, ed iscrizioni funerarie della susseguente dominazione romana. Di questa ultima è interessante il noto cippo, attribuito al secolo IV dopo C., il quale ci ricorda un Lucillo Domestico Valeriano (1), iscritto al collegio dei fabbri e dei Centenari. Il collegio dei Fabbri era un corpo militare che attendeva ad apprestare armi e attrezzi per l’offesa e la difesa, e quello dei Centenari, compenetrato nel quarto secolo con quello dei Fabbri, aveva cura dell’allestimento delle vesti (2).

***

Sul declinare dell’impero romano abbiamo l’invasione dei barbari: ultima quella dei Longobardi (568), la cui dominazione durò a lungo legando il nome alla stessa Lombardia.

In un tempo indeterminato prese residenza in Casate una famiglia longobarda dalle quale discesero i Casati, una delle più note famiglie milanesi (3).

Nell’anno 880 vi è memoria di un Paolo Scavino "de Casate", e nel 956 di un Vala " de loco Casale" messo regio: gli scavini erano giudici, e a loro spettava girare per i contadi amministrando giustizia o rivedendo le buccia ai ministri come osserva il Giulini (4).

Forse appartenevano alla sopradetta stirpe, ma è difficile precisare, poiché nel milanese non mancavano altri luoghi col

nome di Casate o Casale. Le origini di questa famiglia furono ravvolte nella leggenda, come si ha dal Fiamma, dal Corio e da altri (5). Si tratta delle solite tradizioni leggendarie che incominciarono a prendere voga dal secolo XIII, durante il secondo periodo comunale, frutto di fantasiosi cronisti per esaltare la boria di famiglia divenute eminenti per censo o per cariche.

Comunque, si può ritenere per certo che i Casati, come tante altre famiglie signorili provenienti dalla campagna dopo il mille, al formarsi dei cognomi assunsero in città il loro dal luogo di origine.

***

Della derivazione del nome di Casate, finora non abbiamo che incerte e contrastanti congetture da parte degli studiosi. Non vale la pena di avventurarsi nel ginepraio delle ipotesi, una meno sicura dell’altra, col risultato che alla fine ne sapremmo quanto prima.

Se mi è lecito esprimere un’opinione, mi sembra più verosimile quella che fa derivare Casale, Casate da casa, caseggiato, gruppo di case. E’ un termine molto comune, e infatti lo si trova applicato a località diverse.

Per individuare esattamente i nomi locali nelle pergamene antiche non è sufficiente leggere il nome con esattezza, ma si richiede una certa conoscenza dei luoghi dei quali parla il documento stesso, e tanto più quando si tratta di sinonimi. Così, ad esempio, avvenne per Coronate: invece di accostarsi a quello esatto presso l’Adda vicino a Trezzo (l’attuale Cornate d’Adda), si andò a pescarlo dal Quadrio in Valtellina, e dal Mabillon nientemeno che in quel di Ferrara (6).

Altrettanto avvenne per il nome di luogo Casale, Casate, Caxate, Incaxate, nomi di significato equivalente, ma che talora corrispondono a differenti località.

Il primo sicuro accenno del nostro Casate lo si trova in un atto del 1110: si tratta di una permuta tra decumani della nostra metropolitana ed Ottone chierico ufficiale della chiesa di S. Eufemia dell’Isola Comacina: i decumani cedono beni sulla riva del Lario, che Ottone ricambia con poderi a Modonate (Molinata?), a Podenzane (Poenzano) e a Casale nuovo (7).

Il Casale che si legge nella carta dell’867, a mio avviso, non ha probabilmente alcun rapporto col nostro Casate (8).

La distinzione tra Casate Vecchio e Casate Nuovo la si riscontra col secolo XII (9). Nelle carte più antiche non vi è che un solo Casate senza specifica di vecchio o nuovo.

Si è pensato che " quando, dopo il mille, la popolazione cominciò ad abbandonare la collina su cui originariamente sorgeva la chiesa di S. Giacomo, per recarsi in località dove i mezzi di comunicazione erano più facili, un po’ per volta sorse il paese di Casate Nuovo" (10).

Si può anche invece più ragionevolmente supporre, che, avendo i Casati costruito una turrita dimora o castello nel luogo dove ora sorge la villa Lurani, a poco a poco vi si aggiunsero altre case, e così si formò il nuovo Casate, che sviluppandosi soppiantò il vecchio.

***

Gli antichi Casati erano gente religiosa.

A persone distinte di questa casata si deve appunto la fondazione di parecchi monasteri in luogo, oltre quello nel vicino Brugora di Montesiro. E’ il paese della Brianza che nel passato, dopo Vimercate (11), contò un maggior numero di monasteri: quello di S. Dalmazio, di S. Margherita, di S. Maria in Poenzano, e il conventino di S. Giacomo dei Domenicani. Si è sospettato l’esistenza di un altro monastero dedicato a S. Antonio nella frazione Rancate, o quanto meno in Rancate di Triuggio, e di una chiesa canonica o collegiata dedicata a S. Fedele. Propendo a ritenere che né l’uno né l’altra abbiano a che fare con Casatenovo, e il primo nemmeno con Rancate di Triuggio (12).

Del primo non ricorre memoria qualsiasi né prima né dopo s. Carlo. Il sospettarlo da un generico aspetto di un fabbricato ivi esistente non mi sembra sufficiente. Quel caseggiato poteva essere sorto per altri usi. Probabilmente si è fatta confusione coll’antico borgo milanese, detto di Rancate, in Porta Nuova, dove, presso una chiesa dedicata a s. Caterina e consacrata dall’arcivescovo Leone da Perego nel 1251, sorgeva un monastero di Umiliate. Erroneamente nell’indice corografico annesso al Liber Notitiae Sanctorum Mediolani si elenca una chiesa di S. Caterina in Rancate, pieve di Agliate: dal contesto si riferisce a quella del borgo di Rancate in Milano.

Ad ogni modo né Goffredo da Bussero, né la Notitia cleri mediolanensis del 1398, né il Liber Seminari mediolanensis del 1561, fanno parola di un edificio sacro in Rancate di Casatenovo e in Rancate di Triuggio (13).La canonica di S. Fedele corrisponde, e senza alcun dubbio, a mio avviso, a quella situata presso Camnago, pieve di Seveso, e fondata al dir del Fiamma nel 995. E’ annoverata da Goffredo da Bussero fra le canoniche foresi. Nel 1398 contava sei canonici, compreso l’arciprete, ed estimata complessivamente lire 12, soldi 6, e denari 2 (14), e nel Liber Seminari mediolanensis del 1561, risulta con quattro canonici, oltre l’arciprete. Oggi è scomparsa.

Inoltre rimane più che dubbio che il "Casale" nominato nel testamento di Ariberto, del 1045, si riferisca a Casatenovo.

Con pia disposizione quell’arcivescovo legava in favore della basilica di S. Giovanni in Monza la corte di Casale col castello e la torre, la chiesa con la sua canonica e molti beni, e un molino presso il Lambro, in località monzese detta all’Ottava, con relative disposizioni (15).

Già il Calvi ebbe ad osservare che il Casale di Ariberto non poteva essere il nostro Casate, sia perché in nessun documento antico è dichiarato corte, e sia per il motivo che non vi è ricordo di un Arderico prete fondatore di una chiesa canonica. Ed infatti non vi è cenno in nessuna fonte civile ed ecclesiastica attraverso i secoli per il nostro Casate.

Doveva pertanto riguardare, verosimilmente, altro Casale. Forse il Casale o Corte di Casale, in pieve d’Incino, tra Erba e Pusiano, dove, a quanto pare, Ariberto aveva dei tenimenti (16).

Benché il Frisi, nel suo indice corografico, abbia pensato al nostro Casate (il Giulini non specifica), non va dimenticato che lo storico monzese non va esente da abbagli. Così, per recare un esempio, pone Terexella in pieve di Gorgonzola, mentre risalta, dal contesto dell’atto di investitura del 1162, che si tratta di località brianzola, ossia con tutta probabilità di Torricella di Barzanò (17).

Nessuno del resto, più o meno, va esente da sviste in fatto di corografia antica.

CAPO II - I MONASTERI

 

Monastero di S. Dalmazio. - Di questo monastero che si vorrebbe fondato dai Casati, niente ho potuto rintracciare.

Ai tempi di Goffredo da Bussero, ossia sul declinare del secolo XIII, era già scomparso: "de sancto dalmatio est ecclesia in loco caxate novo plebis de masalia ubi fuit monasterium" (18).

Non ci è rimasta altra qualsiasi memoria.

Il Dozio riporta dal noto registro di Cencio camerario pontificio, compilato nel 1192, i monasteri della diocesi di Milano soggetti alla Santa Sede, e perciò solventi un annuo tributo. Tra questi vi è un "monasterium de Casali XII imperiales". Egli interpreta il Casali per il nostro Casate, e aggiunge che questo monastero doveva essere o quello di s. dalmazio, o l’altro di S. Maria in Poenzano del quale si dirà più avanti (19).

Potrebbe darsi che sia come intende il Dozio, ma il fatto non lascia di rimanere alquanto incerto, poiché, mentre da una parte il monastero non è specificato con dedica, dall’altra le località brianzole che portano quel nome sono più che parecchie.

Monastero di S. Margherita. - Sorgeva su di un bel dosso a pochi passi dalla parrocchiale di S. Giorgio. Ignota è la sua fondazione. Comunque, esisteva già nel 1192 come immediatamente soggetto alla Romana Sede, e perciò tributario di 12 denari. Doveva essere dotato di scarsi mezzi, e quindi probabilmente con poche monache, se nel 1398 fu in estimo per sole lire 1, soldi 2 e denari 5, mentre quello di S. Maria in Poenzano lo era quasi del triplo.

Dal catasto del 1558 possedeva circa 200 pertiche in fondi. Questo monastero fu riconosciuto di patronato Casati dopo il il secolo XIII, benché in origine, come si è detto, fosse soggetto a Roma e perciò esente da ogni patronato.

Il pontefice Nicolò V, con bolla dell’ottobre 1451, dietro supplica motivata dei Casati, poiché il monastero non aveva né badessa né monache da oltre quarant’anni per via delle guerre ed altre calamità che afflissero quei luoghi (20), lo soppresse, delegando Antonio Parravicino, arcidiacono della Chiesa milanese, ad unirlo alla chiesa di S. Giustina con tutto ciò che gli apparteneva. Ne risultò un pingue beneficio che dura tuttora.

Nel 1462 la chiesuola venne restaurata, e nell’anno seguente fatta affrescare, a quanto pare, da un cappellano beneficiato, il quale volle tacere il suo nome, ma far dipingere il suo ritratto con in calce un’iscrizione. Sono affreschi di scuola lombarda, ma guasti dal tempo e dagli uomini (21).

Il padre gesuita Leonetta Clavono, visitatore delegato da S. Carlo, nel 1567 rilevò come la chiesa fosse di forma antica, lunga 10 braccia e larga 5, coperta di sole tegole, pavimentata, ma senza campanile e campana (22).

Ben tenuta invece quella di S. Giustina, la preferita dai Casati, della quale vi è memoria fin dal 1062 e originariamente eretta nell’ambito dell’antico castello.

Per quanto piccola e antica, era fornicata e dipinta, con campanile e campana a destra dell’altar maggiore. Aveva annessa una casa di vecchia costruzione con sette locali tra inferiori e superiori con relativo portico, un cortile ed un orto di circa mezza pertica. Casa e chiesa comunicavano tra di loro mediante una porta laterale presso l’altar maggiore.

Il visitatore non tralasciò di notare la bellezza del panorama che si godeva dalla casa del cappellano, "cum pulchro aspecto regionis longisque a porticu superiori".

Fuori della chiesa si allineavano antiche tombe di serizzo, con tutta probabilità appartenenti a defunti dei Casati (23).

In quell’anno (1567) godeva il beneficio il nobile don Federico Crivelli, rettore della chiesa di Magenta. Per mezzo di un frate domenicano del vicino convento di S. Giacomo faceva celebrare 4 volte alla settimana in S. Giustina, ed una in Santa Margherita (24).

S. Carlo nella sua prima visita pastorale del 23 agosto 1571 lasciò altri decreti, oltre quelli del leonetto, per una migliore sistemazione della chiesuola, e , tra l’altro, vietò che vi si celebrasse secondo il rito romano, e che d’allora in avanti non servisse di ripostiglio di granaglie, ed obbligando il titolare a perseverare nel celebrarvi una messa la settimana.

Monastero di Santa Maria in Poenzana. - Altro monumento della religiosità dei Casati sarebbe stato il monastero di Santa Maria di Poenzano in territorio di Casatenovo.

Ignoto è l’anno della sua fondazione, ma con tutta probabilità dev’essere di antica data, e vi ebbero dimora monache benedettine, come in S. Margherita.

E’ ricordato esso pure da Goffredo da Bussero (25), e in altre carte dei secoli seguenti, dalle quali risulterebbe che i Casati, come fondatori e patroni del medesimo, concorrevano alla elezione della badessa.

Così il 27 marzo 1466, morta la badessa Giovanna "da Paravixino", i Casati elessero Maddalena "da Carate".

Nel 1398 risultava in estimo per lire 3 e soldi 1; e dal catasto del 1558 si ha che possedeva fondi per circa 562 pertiche milanesi. San Carlo soppresse il monastero il 1 giugno 1569, trasferendo le poche monache ivi dimoranti nel monastero di Santa Maria del Cappuccio in Milano, incorporandone i suoi beni.

Del monastero oggi è scomparsa qualsiasi traccia: Vi è rimasta nondimeno tra gli abitanti del luogo una particolare divozione alla Madonna. Osserva giustamente il Cappellini come si possano perdere le memorie delle cose, e possano anche scomparire le costruzioni, ma non la fede la quale rimane nei cuori (26).

 

CAPO III - IL CONVENTINO O VICARIATO DI S. GIACOMO

Nel 1483 (15 giugno) i frati Domenicani di Santa Maria delle Grazie in Milano ebbero licenza di questuare nel Monte di Brianza, e nove anni dopo, a mezzo di frate Pacifico da Como, avrebbero ottenuto un legato di oltre duecento ducati da Filippo Maria Sforza, morto nel 1492, per la costruzione di un convento presso Casate Novo (27).

A breve distanza dal centro di Casatenovo, verso levante, sopra un bel poggio (dove ora spicca la villa Vismara già Lattuada), sorgeva fin dal secolo XIII una chiesuola campestre dedicata a S. Giacomo Apostolo: "in loco Casate vegio ecclesia sancti iacobi zebedei" (28).

A fianco di questa, al dir del Dozio, stava una casetta con un orto nella quale avrebbero dimorato successivamente degli eremiti lungo il volgere degli anni.

Orbene, i Domenicani, che già dal 1506 possedevano beni in Galgiana, posero gli occhi su quel luogo, lo videro opportuno ai loro disegni, e abilmente seppero farselo donare (29).

Per quanto il sito fosse dei più belli per costruirvi sia pure un piccolo convento, non fu di certo saggio divisamento l’aver scelto quel luogo troppo vicino al nuovo convento francescano della Misericordia (30). Se la cosa poteva correre in città, non così in campagna: due conventi di Ordine diverso quasi a ridosso l’uno all’altro, poteva far nascere inconvenienti, che il lettore può facilmente intuire. E questo, forse, fu uno dei motivi che di poi influirono sulla sua soppressione, come si dirà più avanti.

Comunque sia, il 24 ottobre 1512, frate Giorgio de Casalis, vicario generale della provincia domenicana lombarda, concedeva al Priore di S. Maria delle Grazie di aggregarsi il luogo di S. Giacomo.

L’anno seguente, al 20 di ottobre, Ruffino de Berlingeri, vicario generale arcivescovile, in nome del cardinale arcivescovo di Milano, acconsentiva che accettassero e tenessero la chiesa di S. Giacomo, salvi però sempre i diritti parrocchiali del parroco di Casate.

Undici giorni dopo (31 ottobre 1513), con un Breve pontificio al Ven. Priore delle Grazie, veniva confermata tale unione, per cui fu chiamato Vicariato di S. Giacomo.

Sistemato il conventino, presero ad affluire lasciti. Ne richiamo alcuni dei principali:

Il 23 giugno 1527 un Giorgio Consonni, figlio di Porrino, morendo, lasciò al convento la cascina dei Porrinetti: un fondo di circa novanta pertiche.

Il 23 gennaio 1550 il nobile Gio: Battista Isacchi, con testamento, legava ai Domenicani una vistosa eredità consistente in case e terreni situati in Barzago ed in altri luoghi del Monte di Brianza, coll’onere, tra l’altro, di distribuire ogni anno 8 staia di pane di frumento ai poveri di Barzago, e 50 lire per una zitella da maritare, e di mantenere stabilmente quattro frati nel convento di S. Giacomo, dei quali uno venisse tutti i giorni a celebrare una messa nella parrocchiale di S. Bartolomeo (31). Nella chiesa di S. Giacomo volle essere sepolto, tra gli altri, con tanto di iscrizione sormontata dallo stemma gentilizio, un don Alessandro Riboldi, dottore in teologia e in ambo le leggi, parroco di Macherio. Morì il 1 ottobre 1636, lasciando ai Domenicani dei beni che possedeva in Besana.

***

Nel 1531 i Domenicani combinarono con don Gerolamo Crippa, rettore di S. Biagio, la cessione a loro favore della parrocchia di Galgiana con gli annessi beni. Si dice che il Crippa dimorasse in Milano, il che fa supporre che già si facesse supplire da qualche frate domenicano.

Innanzi a Mons.r Tosi, vicario generale arcivescovile, il Crippa, stante gli insufficienti proventi della parrocchia, rinunciò ai Domenicani la cura con tutte le ragioni; ed essendo quindi intervenuto il consenso dei galgianesi, diede il suo benestare , e incorporò la parrocchia al convento delle Grazie con regolare istrumento del 1° gennaio 1532 a rogito Gio. Iacomo Molteno.

Non dimentichi il lettore che allora correvano anni disastrosi sia per il Ducato che per la Chiesa milanese. Il lettore non ha che a consultare gli accurati studi di Mons.r Marcora sugli arcivescovi di Milano di quel tempo pubblicati nei volumi di queste Memorie Storiche della Diocesi di Milano.

Il padre Leonetto Clavono, visitatore della pieve di Missaglia delegato da S. Carlo, il 12 novembre 1567 fu a Galgiana, e tutto rinvenne in uno stato veramente deplorevole.

La chiesa si presentava cadente, con fessure e buchi, metà coperta di sole tegole e l’altra soffittata con tavole, e non pavimentata. Mancava il battistero e la sagrestia: i paramenti della messa erano custoditi in una cassa presso la casa vicina. Il cimitero non era cintato. Non si tenevano i prescritti registri parrocchiali. Non c’era la Scuola del SS. Sacramento, né si spiegava la dottrina cristiana.

Vi si celebrava dal vicario di S. Giacomo, o da altro suo collega, in rito romano con messale domenicano, benché la parrocchia fosse di rito ambrosiano (32).

La popolazione sommava a poco più di cento anime.

Il Leonetto emanò i relativi decreti per le più urgenti necessità (33).

Quattro anni dopo (23 agosto 1571) arriva S. Carlo in visita pastorale. Al suo primo affacciarsi alla chiesa, vide puntellata la facciata perché minacciava ruina. Nulla era stato eseguito di quanto aveva prescritto il Leonetto. La situazione era tale che ventilò persino il caso di sopprimere la parrocchia qualora non fosse possibile porvi rimedio.

Nessuno si interessava di quella povera parrocchia, né i Domenicani né i ricchi signori che vi possedevano fondi. Che potevano fare da soli quei pochi e poveri contadini?

Emanò pertanto nuovi e più precisi decreti, dei quali il più importante fu l’ordine ai Domenicani di presentare i titoli del possesso della parrocchia.

I frati, non potendo presentare i documenti richiesti coll’asserire ch’erano andati perduti "per le guerre, contagione et mala conditione de tempi", a sostegno delle loro ragioni si appigliarono al quarantenario legittimo possesso, dando origine ad una lunga controversia, finché S. Carlo, tenendo calcolo delle lamentele di quel di Galgiana che desideravano di essere provvisti di persona idonea ad amministrare i Santi Sacramenti, e ad insegnare la dottrina ai loro figlioli, e fors’anche a cognizione che i frati esigevano fitti troppo elevati dai loro contadini, tagliò corto alle vane e lunghe discussioni, e il 1° agosto 1581 tolse senz'altro la parrocchia ai Domenicani.

Galgiana ritornò parrocchia indipendente coi suoi beni e con l’assegnazione di un prete in luogo. Benché allora piccolo villaggio di scarse risorse, e confinante con fitte boscaglie nelle quali nel 1373 venne alla caccia del cinghiale Bernabò Visconti e ospitato in quell’occasione da un Pirovano "de l’albareda", tuttavia lentamente, e sia pure con stenti, via via lungo i secoli riuscì a rimettersi come tutte l’altre parrocchie.

Dalle memorie manoscritte conservate nell’archivio parrocchiale di Galgiana si ha l’impressione che i Domenicani non vi lasciarono buon ricordo della loro parrocchialità. I decreti emanati dai visitatori e da S. Carlo stesso erano rimasti pressoché lettera morta.

***

Chiusa la parentesi di Galgiana, ritorniamo al nostro S. Giacomo. Si dice che venisse a trascorrere giorni di riposo Michele Ghisleri allorquando in Lombardia copriva la carica di inquisitore generale. E poiché un residente a S. Giacomo era tenuto a recarsi ogni giorno a celebrare nella parrocchiale di Barzago, avrebbe concesso di farsi supplire da qualche altro sacerdote nella cattiva stagione (34). Divenuto in seguito pontefice col titolo di Pio V, il 7 gennaio 1567 vi concesse un’ Indulgenza di 7 anni (35).

In fatto di Indulgenze ricorderò che nel 1611 si ebbe una "Indulgenza plenaria et remissione de tutti li peccati alla chiesa di S. Giacomo di Casalnovo pieve di Missaglia dell’Ordine dei predicatori nel giorno dello stesso santo" (36).

Nel 1650 il conventino consisteva in un piccolo chiostro con sei camere, oltre la cucina, una saletta, un cortiletto, un giardino e un orto cintato, e in più la cantina, la legnera, e la stalla per il cavallo.

Doveva mantenere tre padri per l’ufficiatura, un converso, e un servitore.

Godeva dell’esenzione del carico della carne ottenuta il 6 aprile 1606 dal Magistrato Ordinario di Milano.

***

Senonchè, nel 1652, papa Innocenzo X, per il fatto che nei piccoli conventi, nelle grangie e negli ospizi, per il numero esiguo dei religiosi, non era osservata la regolare disciplina, decretò che tutti quei conventini fossero soppressi, e i religiosi concentrati nei maggiori conventi del proprio Ordine.

Il 30 maggio dell’anno seguente il cardinale Spada da Roma scrisse all’arcivescovo di Milano, Alfonso Litta, di provvedere per la sua diocesi.

L’arcivescovo intimò pertanto che, con altri, fosse soppresso anche quello di S. Giacomo.

Quanto spiacesse ai Domenicani tale imposizione lo possiamo ricavare da una loro minuta nella quale, dopo d’essere stato dichiarato che il Vicariato di S. Giacomo è di grande edificazione e utilità al popolo, si critica aspramente la lettera del cardinale Spada.

Per parare il colpo si diedero a far inoltrare suppliche all’arcivescovo dal clero della pieve (26 ottobre 1653), e dai feudatari e signori delle terre vicine (senza data, ma da credersi unita alla prima), le quali facevano fede essere stati i Domenicani di buon esempio, di utilità e di somma consolazione a tutto il popolo, e perciò supplicavano che fosse conservato il piccolo convento.

L’arcivescovo, dopo maturo esame di quelle concordate istanze d’occasione, ritenne di non accedere ai loro desideri.

In questo frattempo, mentre da una parte si tendeva ad eliminare il piccolo convento di S. Giacomo, dall’altra i francescani della Misericordia rendevano sempre più efficiente il loro con notevoli ampliamenti.

Nonostante tutto, i Domenicani non misero il cuore in pace.

Nel 1665 tornarono alla carica, a quanto sembra, per il ripristino del Vicariato, così da non rimanere definitivamente soppresso. Visto e considerato che con l’arcivescovo non c’era nulla da fare, ricorsero alla Sacra Romana Congregazione col far inoltrare petizioni dal prevosto e dai parroci della pieve (30 gennaio 1665), osservando che lo scopo della soppressione non era quello di privare dell’aiuto spirituale le popolazioni, ma soltanto quello di leggere disordini, ecc.

Le istanze ebbero buon esito, poiché, a quanto pare, i Domenicani accettarono di tenere a S. Giacomo almeno sei religiosi. Comunque il Vicariato continuò a sussistere come prima.

Nella prima metà del secolo seguente, oltre sistemare in meglio il chiostro, collocarono sul campanile un concertino squillante di 4 campane; restaurarono la chiesa (1731) e l’adornarono di pitture (1742).

Sembra che in S. Giacomo si esercitasse talora l’ufficio della Inquisizione nelle cause minori contro inquisiti del Monte di Brianza.

Scrive il Dozio: "La chiesuola, dedicata a S. Giacomo apostolo, è ora profanata e possesso privato. Nell’annesse case,

che serbano ancora la forma di piccolo chiostro, con stanze belle e spaziose, sporge dal lato sud-est una specie di verone o pulpito sopra una piazzetta, ed è coperto da un tetto. Dicono che l’Inquisitore di Milano, che di solito si recava a villeggiare, o per altri bisogni, occorrendo, leggesse da quel pulpito non so quali sentenze contro gli inquisiti del Monte di Brianza. E’ questa una tradizione, ch’io non posso né convalidare né impugnare; perché dall’un canto mi fu asservata da vecchia e grave persona, ma dall’altro io non le ho trovato alcun appoggio nei documenti" (37).

Per la verità risulta da memorie manoscritte dell’archivio parrocchiale di Galgiana che qui esercitavasi l’officio della S. Inquisizione nelle cause minori.

Infatti il parroco di Galgiana, Carlo Camagni, lasciò scritto che al dopo pranzo del 19 luglio 1733, presente lui stesso, un Gaetano Riva fece l’abiura privata "de suoi heretical errori, e misfatti, superstizioni col patto con il Diavolo" nella sala grande di detto Vicariato. Il vicario ricevette delega speciale per detta causa dal R. padre inquisitore di Milano. Dopo che il padre domenicano notaio ebbe letto gli atti processuali all’inquisito, questi in ginocchio davanti al Santo Vangelo, abiurò e tutto detestò. Quindi, mentre si recitava il De Profundis, il padre vicario flagellava con una bacchetta il penitente sulle spalle, e lo assolveva in foro esterno dalle scomuniche contratte. Il Riva per più anni fece penitenza per la salute dell’anima sua (38).

Il ministro provinciale di Lombardia, frà Giacinto Maria Cattaneo, il 7 maggio 1757 visitò chiesa e chiostro di S. Giacomo e constatò che tutto era ben ordinato secondo le leggi ecclesiastiche e le costituzioni dell’Ordine.

I padri di S. Giacomo, in questi anni, per un legato a loro carico, insegnavano gratuitamente a leggere e a scrivere ai figlioli di Casate. Opera veramente benefica che fa onore al legatario poiché allora in campagna non esistevano, o erano molto rare, le pubbliche scuole. Perciò il parroco Meregalli, allorquando si venne alla definitiva soppressione del conventino, fece più volte presente all’ I.R.G.P. la necessità che fosse continuato tale gratuito insegnamento, in considerazione dell’accresciuta popolazione del paese (39).

***

Ma ormai stava per scoppiare l’uragano che avrebbe schiantato per sempre il nostro conventino.

Divenuto lo Stato milanese definitivo possesso dell’Austria verso la metà del secolo XVIII, l’imperatrice Maria Teresa, oltre alle riforme civili, mise mano anche a parecchie riforme ecclesiastiche. Tra l’altro, richiamandosi alla bolla di Innocenzo X, con dispaccio del 20 marzo 1769 ordinava la chiusura degli ospizi e delle grange, e nello stesso tempo stabiliva che non si potessero alienare beni ecclesiastici o combinare lunghe affittanze senza il regio beneplacito, mentre prima bastava il solo consenso della Camera apostolica di Roma.

Il 27 aprile il ministro plenipotenziario Firmiam notificava alla Curia Arcivescovile di Milano che si passasse all’esecuzione. L’arcivescovo, card. Pozzobonelli, tutto ben ponderato, propose un dato numero di conventini e di grange.

In adempimento del sovrano comando, i Domenicani delle Grazie, senza aspettare altri ordini, il 15 aprile avevano senz’altro richiamato nel loro convento il lodigiano padre L. Gaetano Mancini vicario di S. Giacomo, e con una convenzione del 21 aprile provvidero all’assistenza della chiesa con un sacerdote secolare, quale custode e cappellano, assegnandogli la casa d’abitazione con giardino ed orto cintato, coll’obbligo di soddisfare i legati di messe annessi all’ex-vicariato, corrispondendogli lire 600 annue imperiali con in più 52 messe libere. Il cappellano si impegnò da parte sua a celebrare 311 messe private in adempimento dei legati e due messe cantate, e a celebrarvi le tre feste d’uso:

quella di S. Giacomo al 23 luglio, della Madonna del Rosario la prima domenica di ottobre, e del nome di Gesù il primo giorno dell’anno. Qualora le elemosine offerte dai fedeli, con le quali si doveva mantenere la chiesa e pagare il sagrestano, non fossero state sufficienti, i frati di S. Maria delle Grazie si obbligavano a supplire per quanto sarebbe stato necessario.

Il cappellano eletto fu don Antonio Crippa di Galgiana, al quale, morto nel 1782, successe don Giovanni Antonio Redaelli di Barzago.

A Barzago funzionava quale cappellano don Giovanni Battista Longhi che soddisfava nella parrocchiale il legato Isacchi della messa quotidiana.

Tra il cappellano Crippa e il parroco di Casate sorsero subito contrasti riguardo a certe funzioni che si celebravano in

S. Giacomo. I Domenicani presentarono perciò un memoriale alla Curia Arcivescovile domandando di proseguire nel possesso che avevano i padri vicari precedenti, di celebrare nella detta chiesa, sia in rapporto alle ore, che alla qualità di funzioni che potessero spettare al parroco di Casatenovo.

Nonostante che nell’atto di fondazione del conventino era stabilito che non si dovessero ledere i diritti parrocchiali, i frati lungo i secoli seppero eludere in diversi casi tale obbligo, con ricorsi alla Santa Sede (40).

Nel 1785 al 25 di febbraio, caseggiato e beni, messi all’asta con regio consenso, furono assegnati con investitura perpetua livellaria dal "Ven. Ducal Convento di S. Maria delle Grazie dei PP. Domenicani di Milano" ai nobili fratelli don Apollonio e Mons.r don Giulio Casati, consistenti in pertiche 491 e tavole 13 situate nei comuni di Casate Nuovo, di S. Maria Hò, Tremonte, Cagliano, Fumagallo, e così pure delle ragioni di esigere dal nobile don Giulio Lodi e dagli eredi di don Giulio Sirtori la solita annua prestazione di lire 17, per l'annuo canone di lire 7.50, pagabili in due rate, metà a S. Lorenzo e metà a S. Martino d’ogni anno, e con adeale di lire 2.200, oltre altre lire 4090. 16. 6 pagate per il prezzo dei mobili, suppellettili ed altro esistente nel detto vicariato e chiesa di S. Giacomo, e col carico alli prefati nobili fratelli Casati di far adempiere messe 311, e corrispondere al commendatario pro tempore di S. Giustina le solite prestazioni.

Si dovette necessariamente pensare alla sistemazione dei legati pii gravanti sui beni dell’ex vicariato.

Previo consenso della Curia Arcivescovile, come risulta da una copia di lettera del ministro plenipotenziario Giuseppe di Wilseck a Mons.r Gaetano Vismara luogotenente generale dell’economato, venne deciso di eliminare il cappellano, e di trasferire l’adempimento dei legati alla parrocchiale di Casate a carico dei due nobili fratelli Casati ai quali erano stati perpetuamente livellati i beni stessi, e di sopprimere la chiesuola di S. Giacomo.

In questa faccenda ebbe mano anche il parroco Meregalli, il quale in un pro memoria aveva suggerito che "in seguito alla approvazione ottenuta… del livello perpetuo di diversi beni nel territorio di Casate Novo… stimò il parroco d’esso luogo, Carlo Francesco Meregalli, che fosse inutile il conservare detto Oratorio di S. Giacomo, il quale essendo fuori dell’abitato e vicino alla Chiesa e Convento della Misericordia dei PP. Osservanti di S. Francesco, e poco distante dalla chiesa parrocchiale di Casate e di Galgiana, non serve che a divagare il popolo e distoglierlo dal concorrere alla Parrocchiale… onde stimò insinuare la traslazione delli detti pii legati alla Chiesa Parrocchiale di Casate, e la profanazione del detto Oratorio di S. Giacomo…incontrando l’approvazione del Priore del convento di S. Maria delle Grazie di Milano". E possiamo aggiungere che così veniva ad essere eliminato qualsiasi motivo di controversie tra i cappellani, alle cui spalle stavano i Domenicani e i parroci di Casate nuovo per i diritti parrocchiali.

La chiesa di S. Giacomo fu infatti chiusa al culto e sconsacrata, passando ad altri usi. In tal modo ebbe fine il convento, noto sotto il titolo di vicariato di S. Giacomo, e qualsiasi legame, che per i beni livellati poteva ancora conservare col convento delle Grazie, scomparve completamente sul tramontare di quel secolo con la soppressione dello stesso convento delle Grazie.

Del vicariato di S. Giacomo non rimase che il ricordo.

APPENDICE

I

1650

La notizia del Convento di S. Giacomo del Monte di Brianza cavata con tutta diligenza possibile e da scritture e da persone è questa.

Il Convento di S. Giacomo è situato quasi a mezzo miglio lontano dalla terra di Casato novo: ha un cortile picciolo, con una aletta di chiostro da una parte e dall’altra un giardino di una pertica e mezza, per il godimento del quale si celebra annualmente un’ Anniversario di quattro messe, lasciato da una tal Sig.ra Alessandra dopo la fondazione del Convento. Una stalla con cavallo, una legnera, una saletta, una cucina con suo andito avanti, una cantina, sei camere, con un cinto di sopra di due pertiche quale consiste in erba e qualche piante de frutti e per questo si dice annualmente un anniversario di tre messe lasciato da una tale Giacobina Consona e credo sia poco doppo la fondazione del Convento.

Deve mantenere tre Padri Sacerdoti per dir l’offitio, un converso et un servitore. Le spese non si ponno sapere precisamente, perché quest’aria è buona et alle volte si trovano persone di buona bocca et adesso de presenti ci vuole un moggio di formento al mese.

Del vino stando il numero compito ve n’è bisogno di 40 brente l’anno, dandosi da bere a molti benefattori toties quoties e poi anco alle feste principali a moltissimi.

Circa la carne può fare il conto Lei, come anco de vestiti, carta e sapone, oglio, sale, formaggio, cera e paramenti et altro oglio per le lampade della chiesa.

Elemosina di prediche arriverà alla somma di otto ducatoni l’anno. La Bugata duoi ducatoni dando il sapone e la cenere:

duoi scudi al Barbiero e da mangiare.

Si celebrano di più tre messe la settimana ogni anno alla pella del S.mo Rosario, lasciate per cento lire l’anno dal sig. Gio. Battista Casato alli 14 del mese di ottobre 1621.

Da più di questo Convento alcuni beni in Galgiana, terra poco discosto da detto Convento, cioè una casa di due stanze a basso, una stalla et un solaro di sopra con la cassina, con corte comune ad altri.

Un vignolo di quattro pertiche, dal quale se ne cava un’anno per l’altro una moggia e mezzo di formento, con vicino un boschetto, computato la Valle, il Ciesone e la strada di dieci pertiche, dal quale se ne cavano lire dieci l’anno, lontano dal Vignolo un tiro di mano.

Un altro boschetto di tre pertiche e mezza, lontano mezzo miglio dal quale se ne cava soldi trenta l’anno.

Tutto questo è affittato lire novantasei l’anno, computati alcuni moroni, che sono venti piantelle attorno al Convento.

Il casino di questo possessione è di lire cinquanta a danno del massaro, qual luogo è stato lasciato nel 1521 da Paolino de Gamozzi di Galgiano e si paga per detto luogo un livello di lire quindici l’anno a Monsignor Primicerio Visconti Ordinario del Duomo.

Vi è poi un’altra possessione, chiamata la Cassinetta et ha una casa da massaro, una camera da basso, con un altro luoghetto che serve per cantina, duoi luoghi di sopra, una stalla con cassina, et un’orto d’una pertica, con corte commune et una possessione, qual è in duoi pezzi, un pezzo di dodeci pertiche, dove sono viti e da seminare e da questo se ne cava tra formento e formentone tre sacchi di robba e sei brente di vino; l’altro pezzo è di sessanta pertiche di vigna e campo e se ne cava per esser Bosco tre sacchi e mezzo di formento e dodeci brente di vino, e vi è un pascolo di 18 pertiche.

E’ affittato per sei sacchi e mezzo di formento e la metà del vino che se ne cava, et il Fitavolo paga otto lire d’aggravio e paga dodeci lire per la foglia de moroni, e questa possessione è stata lasciata dal fondatore del Convento, quale troverà in Convento costi.

Vi è poi un’altra possessione in Besana di sotto, lontana due miglia dal Convento sudetto, la quale è stata lasciata dal Rev.do Monsignor Prete Bartolomeo Riboldi, che era Curato di Macherio l’anno 1629 e vi è l’obbligo d’una messa perpetua a questa chiesa. Il luogo è questo: una casa con una cucina e stanze due con i suoi superiori, stanze tre, un’orto d’una pertica e mezza: una possessione di ventisette pertiche e mezza. Si caveranno venti brente di vino e tre moggia di formento e tre moggia di minuto. Item due campelli di pertiche trenta, che daranno moggia in formento, quattro di segala e quattro di miglio.

Item due pezze di prato magro di pertiche ventiquattro e se ne caveranno dieci scudi.

E’ affittato per quattrocento trenta lire l’anno in danari.

Le gravezze saranno di cento lire l’anno a danno del fitavolo e venti quattro lire di Perticato, quali paga il Convento.

Quest’è ben poi vero che per le tempeste, alle quali è soggetto questo paese, quasi ogni anno si fa ristauro grosso tal’ora di cento lire e cento cinquanta o cinquanta alli altri, e sopra questi beni vi è l’obbligo di una messa quotidiana.

Vi è poi un censo di quindici lire qual paga il sig. Curato di Viganò qui in Monte di Brianza a detto Convento, godendo alcuni beni del q. sig. Lomazzo, quali sono state lasciate dal detto q. sig. Bartolomeo Riboldi.

Vi è poi la spesa, che si fa alli sindaci et hospiti che vengono per l’anno et infermi.

Il Convento delle Gratie deve dare a questo luogo settecento lire l’anno.

L’elemosina della chiesa sarà di lire quindici o venti o più o meno l’anno conforme al tempo.

Vi è poi anco il risarcimento delle case de massari ogni anno e del Convento.

Della cerca, quando va bene si caveranno moggia sei di formento.

Del vino hora dieci brente, hora otto, hora quattro come quest’anno prossimo passato.

Del miglio e formentone moggia cinque, quest’anno passato moggia quattro.

Della cerca del filo il valore di dodeci lire, tal’ora manco.

Elemosine di messe sono pochissime, hora quattro hora sei al mese: non si può sapere precisamente.

( Archivio di Stato di Milano Fondo di Religione, Conventi Milano, cart. 1402 )

II

Ordinationi per Barzago 1571, 19 Augusti

Si levi afato l’altare della Vergine et si accomodi ben quel di S. Roco dove celebrano li frati di S. Dominico per l’obligo c’hanno di celebrare in questa chiesa quottidianamente quale officijno all’ambrosiana.

A questo altare di S. Rocco se li aggiunga dai lati qualche cornisio di legno per aggrandirlo secondo la forma.

Se li proveda d’Ancona decente.

Di bradella secondo la forma.

Di croce et candelieri d’ottone et delle infrascritte cose cioè un paramento intiero rosso, cioè pallio, pianeda, amito, stola manipolo conformi.

Tovaglie n. 2 grandi che cuoprino tutto l’altare.

Tovagliuoli per gli altari n. 2.

Mantili per sugare le mani alla messa n. 4.

Borsa una variata di colore da l’altre da corporali.

Corporale para uno.

Purificatoi n. 12 con le sue morinelle intorno.

Un vaso per lavare detti purificatoi qual non si adoperi in altro uso.

Una scattola per mettere l’hostie fodrata di dentro.

Due para d’orcioli di vetro politi e netti.

Doi veli per il calice de diversi colori.

Il tetto di questa capella si accomodi et si copra di modo che non renda acqua et humidità alla sacrestia.

Si levi da questa capella subito la bradella da donna che vi è né si lasci mettere più né questa né altre in detta capella, né in chiesa senza una licenza in scritto.

Sopra la finestra se li metta la ferrada et stamegna di tela.

Il pavimento della chiesa si acconci dove è guasto.

Li Reverendi frati delle Gratie di Milano heredi universali per testamento del quondam Gio. Battista Isacchi con li patti però leggi et conditioni infrascritte, cioè che essi frati siano tenuti a perpetui tempi a celebrare una messa ogni giorno in questa chiesa parrocchiale di Barzago, et oltre ciò a celebrare a perpetui tempi in questa medesima chiesa un’annuale di messe diece con una in canto con ministri et fra le altre cose con una oratione sive coletta qual comincia: Fidelium Deus omnium conditor etc., et questo ogni prima domenica di ciascun mese over in un altro giorno di festa di comandamento prossima alla detta prima domenica di ciascun mese. Et che alla predetta ordinatione et altre cose di sopra ordinate non si possi in alcun modo contrafarsi né derogarsi et che ne anche le premisse cose si possino trasmutare né dispensare che si possi far altrimenti.

Et con aggravio a detti frati di ordinar et mantener alla chiesa di San Giacomo di Casalnuovo di questa plebe over in questo luogo di Berzago, come meglio parerà a detti frati, un Priore prelato con un coleggio decente, condegno et conveniente, et ciò fra anni cinque prossimi dopo la morte di esso testatore et con conditione che in caso si ottenesse alcuna dispensa per derogare, over si derogasse alla sodetta ordinatione et volontà del testatore et alle cose contenute nel detto testamento, ovvero ad alcuna parte o capitulo contenuto in esso, ovvero ancora in caso che li detti frati et priore prelato come di sopra cessassero in essequire tutte le predette cose per sei mesi continui et una volta sola, in tal caso et sin a l’hora li detti frati et priore priva et ordina che siano privati di detta heredità, et in tal caso vuole che detta heredità sia administrata et governata per il predetto Prevosto a perpetui tempi di Massaglia et per il sig. Francesco Casate zio di esso testatore et doppo la sua morte per il maggior de suoi discendenti. Et ancora per il marito di Lucia de Isacchi figlia naturale di esso testatore et doppo la sua morte per il maggior de suoi discendenti, et per messer Francesco Pirovano germano di esso testatore et dopo la sua morte per il maggior de suoi discendenti, et per ciascun di loro convertendo li redditi di detta heredità in usi pii a loro beneplacito, talmente però che si faccino et celebrino le dette messe et li detti offitii in tutto et per tutto come di sopra è detto con conditione che a le predette cose né alcune di quelle non possi esser derogato ne anche per il Pontefice, perché volea che le premisse cose del tutto si osservassero come di sopra havea ordinato et come più amplamente si legge nel detto testamento esshibito nelli atti della visita rogato per me Erasmo Perego nodar di Milano sotto di 22 genaro 1550 sodisafacino alla sodetta volontà del testatore come qui a basso.

Perseverino nella celebrazione di detta messa cottidianamente, la qual messa si dica in hora conveniente al giudizio del Parochiano per comodità del popolo.

Parimenti celebrino nell’avenire in questa chiesa il detto annuale col numero di dodeci messe et una cantata conforme al testamento, et rispetto alli venti anni passati ne i quali non hanno celebrato detto annuale satisfaccino interamente celebrandone lameno sei il mese sin al compimento delli mancati over fra doi mesi ei facino constare di aver legittimamente satisfatto.

Procurino li sudetti frati facoltà legittima di poter celebrare detti annuali ingiorni feriali atteso l’inconvenientia di farli in giorni di festa o satisfaccino come nelle prime domeniche del mese o feste sequenti come dice il testamento.

Il medesimo Priore et frati satisfaccino fra tre mesi alla elemosina di doi anni passati che deveno a ragione d’un moggio di pane di formento l’anno a’ poveri di questo luogo et perseverino anco per dui altri anni seguenti che finisse il legato.

Li sudeti perseverino perpetuamente in dare le cinquanta lire per maritare una zitella in detto luogo secondo la forma et obligatione del testamento.

Li sudetti padri che fino a quest’hora hanno mantenuto solamente un frate in S. Jacomo parochia di Casate, oltre quello che fa la cura di Galgiana et quello anche molte volte le feste istesse ha abandonato la chiesa per offitiare hora in questo hora in altro luogo, fra tre mesi habbino proveduto nel sudetto luogo di S. Jacomo o nel luogo di Barzago d’un Priore con coleggio de frati decente et conveniente conforme alla dispositione del sudetto testatore, et data idonea cautione di satisfar nel tempo da noi ordinato di sopra a gli annuali mancati da celebrarsi per loro venti anni continui in questa chiesa, altrimente si proceda contro loro legittimamente alla privatione di tale heredità et condennatione alla sostitutione

che fa il destatore in caso di defetto d’essi padri alii lor obblighi per conto di detta heredità.

Il Curato ci avisi se per l’avenire alcuna volta mancheranno essi frati alla celebratione della messa cottidiana et de gli annovali in questa chiesa come di sopra o a gli altri obblighi suoi conforme alla dispositione del testatore.

(Archivio di Stato di Milano - Fondo di Religione, cart. Cit. 1402).

III
Inventario delle suppellettili spettanti alla Chiesa del Vicariato di S. Giacomo redatto alla soppressione del convento.

NELLA CHIESA
N. 1 Una tenda di tela cetrona con suo ferro serviente
per la porta log.a L. 4,--
N. 2 Due confessionali di noce impellizati in parte di
radica alli due lati della sud.a porta L. 40,--
Sopra li suddetti confessionali appeso al muro ed
In giro alla suddetta Chiesa:
N. 3 N. 5 quadri di T. 24 per T. 30 circa rappresentanti
Santi, cornice dorata e diversa L. 20,--

Nella prima Capella alla diritta entrando
N. 4 Due braccietti di ferro apesi alli pilastri L. 1,10
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L. 65,10
------------
Somma retro L. 65,10
N. 5 Un quadro di T. 24 per T. 36 circa rappresentante
San Pietro Martire, cornice dorata, il tutto log.o L. 3,--
N. 6 Una Cantoria di pecchia dipinta, con organo portatile L. 100,--

Nella seconda Capella seguente
N. 7 Un quadro come sopra rappresentante San Giacinto L. 3,--


Nella Nicchia a fianco all’altare Maggiore
N. 8 Una Croce con crucifisso di pastello e vetriata
continenti n. 40 vetri L. 12,--
------------
L. 183,10
Somma Contro L. 183,10

Altare Maggiore
N. 9 N. 2 plachette di T. 6 e T. 7 con intagli dorati e
braccetto di ferro cad.a L. 8,--
N. 10 N. 1 Palio di tela incerata dipinta L. 4,--
N. 11 Uno scalino a tre gradini di pioppa L. 1,--
N. 12 N. 2 mocchette di latta
N. 13 N. 2 borse per elemosina L. 0,10
N. 14 Un tavolo a mezza luna coperto di bajetta
cetrona L. 1,10
N. 15 N. 1 pradella di noce, che serve per sopedaneo
alle tre careghe L. 1,10
N. 16 Una geneffa scalfata dorata con suo ferro, e
picciol tenda di tela bianca di altezze due con
mantoana di seta cremesile L. 5,--
------------
L. 205,--
Somma Retro L. 205,--

Nel Coro
N. 17 Una banca di noce, che serve per cassabanco a due
posti con serratura a chiavi e due picciole banchette
con lettorino L. 8, --
N. 18 N. 1 quadro in piedi di T. 36 per 60 rappresentante
un crucifisso, S. Giacomo, San Domenico, la
Maddalena cornice bronzata con gussette dorate L. 12,--

Nicchia nel muro alla sinistra entrando
N. 19 N. 1 quadro T. 15 e T. 20 in piedi rappresentante
San Domenico con
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L. 225,--
Somma contro L. 225,--
una mezza corona in rame inargentato, cornice
dorata il tutto log. L. 3,--

Nella Cappella della Beata vergine vicino alla suddetta
Nicchia
N. 20 Due braccietti di ferro con mochetta di latta appesi
alli pilastri L. 2, --
N. 21 Un invetriata che serve all’Ancona della Beata
Vergine L. 6, --
N. 22 Una statua di legno col Bambino vestita di drappo
fondo bianco a fiori a più colori guarnito di gallone
d’oro falso con due corone una in mano alla Vergine
altra al Bambino, una dei
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L. 236,--
Somma retro L. 236,--

quali d’ambra, altra di canetta di vetro con sue
camisce guarnite di pizzo con sue corone in testa
di rame inargentati L. 21,--
N. 23 Un pulpito di pecchia di facciata all’organo con sua
scala e croce con crocifisso di legno L. 12,--

Capella seguente
N. 24 Due braccietti di ferro appesi alli pilastri con due
bussole di legno con serrature e chiavi per elemosine L. 2,--
N. 25 Un palio di tela incerata dipinta L. 3,--
N. 26 Un quadro grande in piedi rappresentante San
Vincenzo Ferrerio sagomato con picciola cornice
dorata L. 6,--
------------
L. 280,--
Somma contro L. 280,--

N. 27 Un picciol tabernacolo di legno log. L. 1,--

Seguono li mobili in giro alla Chiesa
N. 28 Due bradele di noce logore L. 2,--
N. 29 Quattro banche di noce una de quali con una
cassetta per le elemosine con serratura e chiave
il tutto logoro L. 3,--

Nella Sagrestia
N. 30 Un tavolo quadrilongo con crocera e cassetto
logoro L. 3,--
N. 31 Un tavolo di pioppa quadrato L. 2,--
N. 32 Un vestaro di pecchia dipinto a due ante che serve
per gli stendardi con
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L. 291,--
Somma retro L. 291,--
serrat.a e chiavi L. 5,--
N. 33 Un detto al muro L. 3,--
N. 34 Un cassabanco di pioppa di lunghezza B.za 6 con
suo schenale con serratura e chiave L. 12,--
N. 35 Due quadri uno rappresentante San Carlo altro
San Giacomo con due cartelli per indulgenza L. 1,10
N. 36 Un picciolo quadro rappresentante la Pietà
cornice dorata ed un cartello per il SS.o L. 1,10
N. 37 Un campanello con ceppa e corda che serve per
le messe L. 2,--
N. 38 Due cardenzoni di noci a quattro ante cadauno
diversi con serrature e chiavi L. 15,--
N. 39 Un paglio di callamandra telaro continente n. 10
vetri che serve per
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L. 331,--
Somma Contro L. 331,--
l’immagine della Beata Vergine ed una testa di
Ecce Homo di pastello il tutto log.o L. 2,--
N. 40 Una croce con crucifisso di legno il tutto logoro
che serve per le fonzioni L. 2,--

Nella Seconda Sagrestia seguente
N. 41 Due preparatori di noce impelizati di radica con
sue bradele, tavolete, nel mezzo de sudetti si ritrova
un cardenzone di noce a cinque cassetti con manette
di ottone, serratura e chiavi e sopra un guarnerio che
forma scalino a tre ante impellizate di radica con
crosera con crocifisso di ottone L. 30,--
------------
L. 365,--
Somma retro L. 365,--
N. 42 N. 4 messali di diversi riti con tre lettorini log.ri L. 8,--
N. 43 Due capi cioè picciol tavolino ed una poltrona
liscata L. 2,--
N. 44 Mezzo confessionale di noce con latta forata
impellizato di radica L. 3,--

Rami inargentati
N. 45 Una corona grande per le fonzioni della Beata
Vergine
N. 46 N. 2 croci con crucifisso per le fonzioni
N. 47 Un teribolo e navetta alla Ambrosiana
N. 48 N. 4 teche, ossiano reliquari con vetri e piede
N. 49 N. 8 tavolette per il vangelo
N. 50 Una cassetta con vetro per Reliquie
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L. 378,--
Somma Contro L. 378,--
N. 51 N. 6 candeglieri alti T. 16
N. 52 N. 6 detti alti T. 12
N. 53 N. 8 detti di T. 9
N. 54 N. 4 vasi per fiorami
N. 55 Un sidelino con aspersorio
N. 56 N. 4 lampade una delle quali grande per l’altare
Maggiore L. 120,--
N. 57 N. 48 bussolotti diversi per candele di ottone p. 7,6 L. 18,--
N. 58 N. 2 stampi in rame della Beata Vergine e
S. Vincenzo L. 2,--
N. 59 N. 2 piccioli campanelli a mano L. 1,--
N. 60 N. 1 lampada di ottone picciola L. 4,--
N. 61 N. 8 detti di peltro cioè bussoloti per candeglieri L. 2,--

Intagli dorati
N. 62 N. 4 reliquiari con vetri diversi con piede
------------
L. 525,--
N. 63 Un tronino di legno intagliato con due puttini
N. 64 N. 4 cassette servienti per fiori
N. 65 N. 6 vasetti per fiori intagliati a rose
N. 66 N. 2 angioli alti T. 9 e T. 12 L. 18,--
N. 67 N. 19 cartelli di legno rappresentanti misteri del
rosario con suoi bastoni L. 4,15
N. 68 N. 2 lanternoni di latta con suoi bastoni serventi
per le fonzioni L. 1,10

Intagli inargentati
N. 69 N. 4 croci
N. 70 N. 14 candeglieri diversi
N. 71 N. 4 vasetti in forma d’aquila
N. 72 N. 8 detti più grandi
N. 73 N. 4 secchioncelli
N. 74 Un tronino con raggi ------------
L. 549,5
Somma Contro L. 549,5
con schenale e baldacchino di drappo fondo bianco
con argento fine L. 18,--
N. 75 N. 4 fiorami grandi di galetta L. 8,--
N. 76 N. 8 detti di carta diversi L. 4,--
N. 77 N. 18 detti diversi log. L. 5,--
N. 78 N. 6 torchie di legno con sue bussole di latta dipinte L. 3,--

Sagrestia di sopra
N. 79 Cassa di pioppa quadrata con due cavaletti con
serratura e chiave L. 4,--
N. 80 Un vestaro di pecchia a quattro ante con due
tramezze con serrature e chiave quasi novo L. 40,--
N. 81 N. 39 abiti di tela roana bianca e celeste per li
confratelli del rosario con 9 cordoni
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L. 631,5
Somma retro L. 631,5
logori a 20 cadauno L. 40,--

Biancheria
N. 82 N. 5 camici stuccati diversi a L. 6 log. L. 30,--
N. 83 N. 2 cotte stuccate logore L. 7,--
N. 84 Una detta soglia ordinaria L. 2,--
N. 85 N. 13 amiti, N. 10 sogli e N. 3 con pizzo e bindelli
di seta L. 8,--
N. 86 N. 15 fazzoletti, N. 9 sogli e N. 6 con pizzo L. 4,10
N. 87 N. 2 tovaglie di cambraglia log. L. 3,--
N. 88 N. 1 detta con pizzo con sotto il cendale cremisile
log.a L. 3,--
N. 89 N. 21 tovaglie da diversa grandezza in parte con
pizzo logore a p. 30 cad.a L. 31,10
------------
L. 760,5
Somma Contro L. 760,5
N. 90 N. 8 corporali uno de quali con pizzo a p. 2,6 L. 5,--
N. 91 N. 60 purificatoi L. 1,10
N. 92 Un paramento finito in terzo consistente in pianeta,
due tonicelle, piviale e paglio il tutto di raso bianco
a ricamo d’oro fino, il tutto log.o L. 100,--
N. 93 Una pianeta di raso verde con stola e manipolo
guarnita di lavorino di seta a più colori L. 5,--
N. 94 Una pianeta fenita di veluto soprarizzo pavonazzo
guarnita d’oro falso L. 5,--
N. 95 N. 1 velo di calice di cendale color pavonazzo
guarnito d’una picciol pizzetta d’argento fino log.o L. 1,--
N. 96 Un detto di lustrino bianco ricamato d’oro fino
logoro L. 3,--
N. 97 Una pianeta di mezza moella a liste guarnita con
gallone d’oro falso con frangia
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L. 880,15
Somma retro L. 880,15
di seta ed oro fino alla stolla e manipolo L. 7,--
N. 98 Una pianeta finita di damasco a due colori fondo
cremesile e fiori bianchi guarnita d’oro falso L. 5,--
N. 99 Una pianeta finita di mezza moella nera stampata
guarnita di bindello di seta bianca logora L. 5,--
N. 100 Un piviale di moella bianca fiorata guarnito di
gallone e frangetta d’oro fino log. L. 40,--
N. 101 Continenza di spolino fondo bianco e fiori in oro
e seta, guarnito di pizzo d’oro fino L. 24,--
N. 102 Una detta fondo bianco con fiori in argento e seta
guarnita di pizzo d’argento L. 15,--
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L. 976,15
Somma Contro L. 976,15
N. 103 Un padilioncino di damasco cremesile guarnito di
bindello d’oro fino L. 9,--
N. 104 Uno strato da morto di capizola log. L. 1,--
N. 105 Un tappeto di filo e filisello a fiamma per tavolo
dove si espone la Vergine L. 4,--
N. 106 N. 2 calici, uno di rame sigilato dorato a fuoco,
patena e coppa d’argento basso ed altro calice con
piede di rame soglio e patena dorata e coppa del
calice d’argento basso L. 18,--
N. 107 Una piscide con coppa d’argento basso e piede di
rame dorato L. 7,--
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L. 1015,15
Somma retro L. 1015,15

Argenti
N. 108 Una teccha d’argento continente la reliquia di
S. Vincenzo Ferrerio in peso T. 4,--
N. 109 Un ostensorio alla romana T. 20,--
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T. 24,--
a L. 6,10 per non essere marcato e scadente di
bontà importa L. 156,--
N. 110 Due statue de Bambini una con veste di spolino in
oro ed argento guarnito di frangietta in oro fino e
centura di bindello d’argento ed altra più grande
con veste di tela in oro guarnita di pizzetta
d’argento L. 16,--
N. 111 Uno stendardo a quattro bastoni a ricami in oro
ed argento falso rappresentante la Madonna del
Rosario log.o L. 10,--
N. 112 Un detto di tela dipinta a due bastoni log.o L. 2,--
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L. 1199,15
Somma Contro L. 1199,15

Mobili attinenti alla B. V. del Rosario
N. 113 Una scatola di legno che serve per riporre li abiti
della Vergine L. --,15
N. 114 N. 2 corone di coco legate in argento basso con
medaglia di filograna ed altra medaglia L. 10,--
N. 115 Una mazza di fiori con galla di bindello in oro
ed arg.to L. 1,10
N. 116 Una corona di perle false con brili coloriti rossi
legati in argento basso L. 6,--
N. 117 Un fiore di testa con n. 6 picciole scalie di
diamanti fiamenghi ed altra scalia fatta a triangolo
con rubino L. 30,--
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L. 1248,--
Somma Retro L. 1248,--
N. 118 Un anello d’oro con scalie di diamanti fiamenghi
ed un topazzo nel mezzo L. 15,--
N. 119 Un abito della Beata Vergine consistente busto,
sottanino alla cappuccina, petturino ed abito del
Bambino, il tutto ricamato in oro fino con manto
di lustrino angiolique a ricamo a stelle in oro
guarnito di pizzetta parimente d’oro fino L. 50,--
N. 120 camisce di tela costanza guarnite di pizzo una per
la Vergine altra per il Bambino L. 6,--
N. 121 Un tavolo con sopra quattro asse di legno intagliate
fatte di colore e fogliazzi dorati con sua corona
medesima guarnita di frangia d’oro falso il tutto
logoro, che serve per esporre la Beata Vergine L. 8,--
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L. 1327,--
Somma Contro L. 1327,--

Nel campanile
N. 122 Una campana. Larghezza della bocca T. 19,
altezza T. 16, larghezza della sommità T. 9,
grossezza dell’orlo della bocca T. 2, in circa
rubbi 30 a L. 26 L. 780,--
Nella sopradetta campana vi si ritrova la presente
iscrizione: Sancto Vincentio Ferrerio ab. Ad. R.
P.re Magg.o Vicomercate Vicario
Contra fulgora et tempestates dicata anno 1751. Da
un lato vi resta in riglievo la Madonna del Rosario.
Da altro San Pietro Martire.
Da altro Sant’Antonino. Da altra fascia evvi croce
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L. 2107,--
Somma Retro L. 2107,--
col crucifisso, a fianco l’Addolorata, San Giovanni e
la Maddalena.
Da altro lato la Madonna di Caravaggio colla Beata
Gianetta.
Da altro lato evvi scritto in rilievo Fece Bartolomeo
Bozzo.
N. 123 Seconda campana. Larghezza della bocca T. 16, _
altezza T. 14, _ larghezza alto T. 8, _ grossezza
dell’orlo T. 1, _, circa rubi 23 a T. L. 26 L. 598,--
Nella sopradetta campana vi si trova la presente
iscrizione:
Haec expensis A. P.P. Magistri Josephi Mariae de
Familia Vicomercate Besanae Sanctissimo Rosario
dicata MDCCVIII.
Nella fascia susseguente oltre alcuni riglievi
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L. 2705,--
Somma Contro L. 2705,--
di ornati, quattro figure a basso riglievo rappresentanti
un Santo Mitrato, San Giovanni Battista, la Beata
Vergine del Rosario e San Giuseppe.
Nella seconda fascia un Crucifisso colla Madalena e
San Rocco e lo stemma dell’artefice Bartolomeo Bozio
fecit e San Michele.
N. 124 Terza campana. Larghezza della boca T. 14, _,
altezza T. 13, larghezza alto T. 7, grossezza dell’orlo
1, _ , circa rubi 20 a L. 26 L. 520,--
Nella sopradetta campana si ritrova la presente
iscrizione. Dall’alto: Ista vero renovata expensis
eiusdem P. R. I. S. sub invocatione S. Jacobi
MDCCVIII
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L. 3225,--
Somma Retro L. 3225,--
colli Santi Domenico, Paolo, Pietro ed altro santo,
ed al secondo ordine vi si vedono un crucifisso, la
B. V. con San Gioanni e la Maddalena, ed altro
Santo.
N. 125 Quarta campana. Larghezza T. 13, _, altezza
T. 11, _, larghezza alto T. 7, grossezza dell’orlo
T. 1, _, rubbi 14 a L. 26 L. 364,--
Nella sopradescritta campana si ritrova la presente
iscrizione: Haec pariter ab eodem P. M. renovata
divo Vincentio Ferrerio dicata MDCCVIII con
S. Sebastiano ed altri due Santi col impronto del
Bozzi.
In tutte le suddette campane resta considerato il
prezzo del castello.
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L. 3589,--


[ Articolo apparso in Memorie Storiche della Diocesi di Milano, Milano 1959, vol. VI, pp. 190-225.]