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I DE ROBIANO E IL LORO AVELLO IN S. LORENZO

Chi entra nella basilica di S. Lorenzo in Milano, e volge i suoi passi a destra, s’incontra presso la cappella oggi dedicata a S. Antonio di Padova, in un maestoso sarcofago di stile gotico-lombardo rialzato dal suolo su quattro robuste colonnette. Esso giace sotto un’arcata ogivale, sormontata da un triangolo a sesto acuto, la cui parete porta un affresco il quale rappresenta la Vergine in trono fra due devoti inginocchiati, che le sono raccomandati da S. Ambrogio e da S. Lorenzo o S. Stefano, come altri interpretano quella figura di santo. Ma ciò che più stuzzica la curiosità del visitatore si è che il sarcofago non porta epigrafe funeraria, ma soltanto lo stemma dei de Robiano, stemma ripetuto a colori nel soprastante archivolto.
L’arma gentilizia dei de Robiano ha lo scudo triangolare spaccato: nel primo di azzurro inchiavato con tre gigli d’oro, nel secondo di argento. La si riscontra pure nel prezioso codice “Armi Antiche”, della fine del quattrocento, esistente nella Trivulziana. I de Robiano ebbero forse i tre gigli di Francia per qualche servizio prestato ai D’Angiò.
Antica famiglia milanese era quella dei de Robiano o Robiani. La memoria più antica che ho trovato di questa stirpe è in un atto del giugno 1052. Vi si parla di un Olderico “de Robiano” vivente a legge longobarda, prete dell’ordine dei Decumani e officiale della chiesa di S. Maurilio in Milano, figlio del q. Arnaldo “qui fuit de loco Robiano” (1). Pure della medesima schiatta dev’essere Prandolfo, prete dell’ordine dei Decumani e officiale
della chiesa di S. Nazaro, figlio del q. Lanfranco giudice detto de Robiano, il quale nel 1087 ricevette in livello alcuni beni del luogo di Bagnolo da Azzone abate di S. Vittore: il contratto fu sottoscritto da vari testimoni nei quali, osserva il Giulini, si riconoscono i progenitori di alcune nobili famiglie milanesi (2).
Evidentemente i de Robiano assunsero il cognome dal luogo di provenienza. Nel milanese due sono i villaggi che portano il nome di Robiano o Robbiano: uno in pieve d’Agliate Brianza, e l’altro nella pieve di S. Giuliano. Da alcuni indizi però si può ritenere che i de Robiano siano provenienti dal primo (3). Infatti, da una carta pubblicata dal Mazzucchelli, e dal medesimo ritenuta degli ultimi anni del secolo XII, si rileva che un Pagano “de Robiano”, insieme ad alcuni da Giussano e ad un Lotario di Arosio e a qualcun altro, provenienti dai dintorni, era tra i più influenti cittadini milanesi di Porta Comasina, ai quali spettava, come vicini, il diritto di iuspatronato dell’ospedale di S. Simpliciano situato nei confini della stessa porta (4). Un altro indizio sarebbe che nel 1447 vi era controversia tra i fratelli Donato e Pietro “de Robiano” , abitanti in Milano e figli del q. Giovanni, per una divisione ereditaria di beni situati nel vicino paese di Verano (5). Parimenti un Gio. Pietro Antonio Robbiano, milanese, nel 1558 possedeva beni nei vicini luoghi di Giussano e di Arosio (6). D’altronde che i de Robiano fossero oriundi dal luogo di Robiano, in pieve d’Agliate, lo ritenne anche il Sitoni di Scozia (7).
In quale tempo poi e per quali cause siansi trasportati ad abitare in Milano non saprei dire.
Col secolo XIII li troviamo occupati in pubbliche cariche cittadine. Nel 1215 fra i membri del Consiglio del Comune di Milano, radunati a ratificare i patti di alleanza con Vercelli, vi è un Guglielmo “de Robiano” (8). Durante le lotte tra i Torriani ed i Visconti, parecchi dei de Robiano si schierarono col partito popolare, fedeli seguaci della politica torriana. Di particolare menzione in quel tempo è un Belotto “de Robiano”, il quale, tra l’altro, fu il primo dei quattro personaggi milanesi chiamati a testimoniare nel 1265 il patto dell’alleanza di Milano con Como, Bergamo, Lodi, e Novara, costituente la gran lega guelfa sotto l’unica podesteria di Filippo Della Torre (9).
Più tardi invece, e cioè nel 1321, un Beltrame o Beltramino de Robiano, con Maffiolo Cane o Cariono, è mandato ambasciatore ad Avignone da Matteo Visconti presso il papa Giovanni XXII onde intercedere l’assoluzione della scomunica (10). Nel 1340 un Filippo “de Robiano” è ricordato fra i decurioni milanesi (11).
Sul finire del secolo XIV il Fagnani ci rammenta un Antonio de Robiano, detto Antonino, eletto il 13 marzo 1390 fra i moderatori del censo, e tre anni dopo fra i XII di provvisione, il quale fu il 19 agosto 1412 esiliato da Filippo Maria Visconti. Vi è pure un Lanzarotto, eletto il 1 giugno 1390 fra i moderatori del censo (12). Antonio, detto Antonino, e Lanzarotto, erano in quel tempo fra i membri più distinti della loro schiatta: il primo in un atto del 1404 è chiamato “spectabilis et egregius miles D. frater”, aveva il governo delle case di Noceto e di Resigniano, in diocesi di Parma, appartenenti all’ordine ospitaliero di S. Giovanni Gerosolomitano, e vi costituiva suo procuratore Lorenzo de Lombardis di Parma; il secondo nel 1402 lo troviamo tra i quaranta principali patrizi milanesi che per il Comune di Milano prestarono giuramento di fedeltà al nuovo duca Gian Maria Visconti (13).
Inoltre i de Robiano appaiono in questi anni fra i rappresentanti della cittadinanza milanese presso la Fabbrica del Duomo, Lanzarotto lo è più volte dal 1390 al 1402, Marco nel 1402, Giovannino nel 1419, ecc. (14).
Or bene, com’era in uso presso le più illustri famiglie cittadine, alcuni de Robiano nella basilica di S. Lorenzo vollero erigere, vicino all’altare o cappella dei SS. Cosma e Damiano, la loro tomba.
Diego Sant’Ambrogio scrive che i de Robiano, quelli che si eressero l’avello, facessero pure in quell’occasione costruire una cappella gentilizia dedicandola a S. Antonio di Padova (15). Ciò non è esatto. Gli atti di visita di S. Carlo e di Federico Borromeo, ed altri documenti anteriori e posteriori, parlano sempre della cappella dei Santi Cosma e Damiano, ma non di S. Antonio. Di una cappella a questo santo in S. Lorenzo vi si accenna soltanto nel secolo XVIII e non prima, e fu eretta là dove sorgeva quella dei SS. Cosma e Damiano, caduta in abbandono e ruina già sul finire del secolo XVI (16).
Che poi i de Robiano abbiano essi fatto costruire una cappella ai SS. Cosma e Damiano non solo non mi risulta da alcun documento, ma trovo che sul cadere del secolo XIII esisteva già un altare dedicato a questi Santi (17). Chiaramente si ha invece che essi vi avevano annessi dei fitti livellari per celebrazione di messe, i quali ai tempi di S. Carlo davano un reddito di circa 70 lire imperiali. L’onere era di fondazione dei fratelli Beltramo e Lorenzo “ex legato predecessorum suorum” e cioè di Princivalle ed Ambrogio (18). Così risulta da un istrumento di transazione tra i patroni de Robiano e il capitolo di S. Lorenzo, rogato da Giovanni de Apiano 1’ultimo di aprile del 1448, nel quale venne concordato che il diritto di elezione del cappellano spettasse ai patroni ma la conferma al capitolo. Obbligo del cappellano era di celebrarvi quattro volte alla settimana, tra le quali tassativamente al martedì e alla domenica. In realtà però ai tempi di S. Carlo il cappellano non vi celebrava che una sol volta alla settimana (19).
La cappella finì coll’essere talmente trascurata che nel 1590, oltre a non essere fornita di paramenti propri, aveva anche l’altare ruinato. E poiché la corporazione dei battiloro aveva eretto nel 1580 una cappella a S. Quirico, loro patrono, a detta cappella furono trasferiti diversi legati, e tra questi quello annesso all’altare dei SS. Cosma e Damiano (20).
Tralasciando le vicende a cui andò soggetta la cappellania dei SS. Cosma e Damiano, le quali non entrano nello scopo di queste indagini, ritorno a far parola del sarcofago.
Il Rota ed altri lo dicono eretto nel 1411 (21), e il Sant’Ambrogio, in quanto il monumento risponde in tutto allo stile gotico dei primi anni del sec. XV, accetta tale data, a noi soltanto pervenuta più per tradizione, egli dice, che per documenti positivi. E che sia stato costruito in quell’anno o poco prima, per quanto non consti da alcun documento, non c’è difficoltà a convenire coi sopradetti scrittori. Certo che se si potesse stabilire una data sicura per l’affresco dell’arcosolio, ora assai sciupato attraverso i ritocchi, ne verrebbe indirettamente chiarita anche quella per il sarcofago, perché è evidente che i due lavori devono essere stati compiuti pressoché contemporaneamente. Ma purtroppo non è così. Mentre il Malaguzzi-Valeri e il Sant’Ambrogio lo vorrebbero opera del quattrocento, il primo perché vi ha riscontrato delle affinità con una tavola del cremonese Cristoforo de’ Moretti, e l’altro perché vi scorse la mano dei pittori Isacco da Imbonate e Paolo da Montorfano i quali nel primo decennio del quattrocento lavoravano in Duomo, il Toesca invece lo ascriverebbe alla fine del trecento perché vi osservò delle relazioni stilistiche coll’anonimo miniatore del codice di Parigi e cogli affrescatori di Mocchirolo, Lentate, e Albizzate (22). Tuttavia, pur ammettendo le predette relazioni stilistiche, mi sembra non ripugni che il lavoro possa essere stato eseguito anche nei primordi del quattrocento.
Degli artefici del monumento nessuna notizia; invece quali ordinatori il Sant’Ambrogio, per via di ipotesi, fa i nomi del prete Marco, canonico in S. Lorenzo e nel 1402 fra i rappresentanti della città presso la Fabbrica del Duomo, e di Antonino, dei XII di provvisione sotto Gian Galeazzo Visconti, raffigurati, secondo lui, nell’affresco (Marco o Marcolo a destra di chi l’osserva e Antonio a sinistra), i quali sarebbero poi stati sepolti nell’avello. Questo sarebbe rimasto non in tutto ultimato e cioè senza epigrafe perché un Antonio, figlio di Antonino, era stato esiliato con molti altri nel 1412 da Filippo Maria Visconti, per il sospetto di aver concorso a tramare la morte di Gian Maria.
La supposizione si basa su elementi in parte non esatti e in parte non convincenti. E innanzi tutto il Fagnani, sul quale si appoggia il Sant’Ambrogio per affermare che Antonino ebbe un figlio chiamato Antonio, dice solamente che Antonio, detto Antonino, fu eletto nel 1390 fra i moderatori del censo e nel 1393 fra i XII di provvisione, e più sotto aggiunge che Antonio fu esiliato il 19 agosto 1412 da Filippo Maria (23). Mi sembra ovvio trattarsi qui di una medesima persona e non già di padre e figlio. E in questo mi conferma il non aver trovato che Antonio, detto Antonino, abbia avuto un figlio pure con tal nome. Con ciò cadrebbe l’ipotesi che il monumento sia rimasto senza iscrizione per l’esilio del supposto figlio di Antonio. Le ragioni poi per dire che Marco possa essere l’altro degli ordinatori, il Sant’Ambrogio le vede nel fatto che Marco era canonico in S. Lorenzo, e nel 1402 fra i rappresentanti della cittadinanza milanese presso la fabbrica del Duomo, da cui poté probabilmente ottenere per speciale favore il marmo di Gandoglia per la costruzione del sepolcro. E potrebbe darsi che lo sia. Senonché come ho sopra osservato, anche Lanzarotto occupò tale carica e non una sol volta. E si noti che Lanzarotto era fratello di Antonio, detto Antonino (24), mentre ciò non mi risulta di Marco (25).
Lanzarotto e Antonio avevano bensì un fratello canonico in S. Ambrogio ma di nome Beltramino (26). Di più il Sitoni di Scozia fa menzione di un “Ven. Vir D. Antonius de Robiano canonicus s.ti Laurenti Maioris Med. 1406, ex mss. cap. metrop.”, il quale mi pare non possa essere altri che il sopradetto Antonio (27). Perciò che l’affresco rappresenti due divoti della famiglia è evidente, ma chi siano non è possibile precisare. Se proprio si vuol ravvisare in uno di essi un canonico, questi potrebbe essere anche Antonio e l’altro Lanzarotto.
Altrettanto difficile, coi dati che ho alla mano, è il trovare la ragione del perché non vi fu apposta alcuna epigrafe funeraria, cosa che richiedeva assai minor tempo e denaro. Se si ammette che Antonio e Lanzarotto abbiano voluto preparare per loro stessi il sarcofago, la cosa è spiegabile perché andato in esilio Antonio, anche il fratello Lanzarotto deve verosimilmente aver lasciato Milano e ridursi a Lugano, dove infatti troviamo residente negli anni successivi la sua discendenza. Se invece essi l’hanno eretto, tumulandovi dei loro parenti, non c’era motivo in contrario per omettere l’epigrafe quale compimento necessario. E il fatto riesce ancor più inspiegabile qualora altri di quella schiatta, come ad es. Princivalle e Ambrogio, l’abbiano fatto erigere e vi fossero stati dei tumulati, giacché sembra per lo meno strano che i figli ed i parenti, i quali continuarono a vivere in Milano, si siano dimenticati del pietoso officio di collocarvi l’iscrizione funeraria. La mancanza di un’epigrafe mi lascia sospettare, contro l’ipotesi del Sant’Ambrogio, che in esso non vi fu sepolto alcuno. E infatti che vi siano stati in esso dei tumulati non ho trovato, e nemmeno dalla lapidetta collocata nel 1813 lo si può desumere (28). I de Robiano rimasti in Milano, avevano la loro sepoltura scavata nel pavimento lì vicino al monumento. Nel 1521, con testamento del 22 gennaio, un Pietro de Robiano q. Giovanni, allora abitante in Ronchetto pieve di Cesano dove esercitava l’impresa del sale, lasciò di essere sepolto “in sepultura illorum de Robiano constructa in ecclesia sancti Laurentii Maioris Mediolani”, e obbligò i suoi eredi a far celebrare funzioni di suffragio all’anima sua per dieci anni alla cappella dei SS. Cosma e Damiano. Aveva in moglie una Giovanna della patrizia famiglia Corio e lasciava due figlie, Antonia e Laura, delle quali una maritata ad un Andrea Tatti. Nel testamento è inoltre ricordato un suo fratello Lanzalotto, già morto, il quale aveva lasciato tre figliole (29). Questa sepoltura è pure ricordata negli atti di visita di Federico Borromeo del 1608.
Da tutto questo si vede come il mistero ravvolge tuttora quell’avello: che sia stato ordinato da Marco e da Antonio come opina il Sant’Ambrogio, oppure da Antonio e da Lanzarotto, da una o più persone, o da altri di quella stirpe, precisamente non sappiamo; come non sappiamo chi sia stato in esso tumulato se pure vi furono in esso dei sepolti. Dati positivi potrebbero forse venire dall’esame delle carte di archivio della famiglia dei conti Robiano del Belgio.
Non mi risulta che Antonio e Mozollo abbiano lasciato dei discendenti. Trovo invece che la discendenza di Lanzarotto era, negli anni seguenti, residente in Lugano, come si ricava da un istrumento di transazione del 13 febbraio 1496 tra i de Robiano e i Giussani in merito a una controversia, sorta fra di essi, per il pagamento di certi fitti livellari spettanti alla cappellania dei SS. Cosma e Damiano. Controversia risolta colla vendita fatta in piena regola dai de Robiano ai Giussani delle proprietà gravate. In esso sono riportati atti notarili anteriori rogati in Lugano (30).
Qualche ramo era tuttavia rimasto in Milano, poiché oltre Giovanni Maria studente di medicina a Pavia, Lancelotto, e Giorgio, figli di Antonio, i quali erano legalmente assistiti dallo zio paterno Pietro q. Princivalle (31), dovette intervenire a maggior garanzia della composizione e dare il suo consenso un loro agnato Antonio de Robiano q. Donato, abitante in porta Ticinese parrocchia di s. Maria al Circolo. Donato era a sua volta figlio di un Giovanni (32).
Altri rami, discendenti dai maggiori di Antonio e Lanzarotto, fiorirono in Milano nel secolo XV, dando dei personaggi distinti. Un Lorenzo, figlio di Ambrogio, è più volte deputato e dei XII presso la Fabbrica del Duomo negli anni dal 1452 al 1458, e il di lui figlio Giacomo nel 1470 è tra i 150 cittadini
“magnifici, nobiles, prudentes” eletti a prestare il giuramento di fedeltà al duca. Lorenzo aveva un fratello chiamato Giovanni, e un altro detto Beltrame era canonico in S. Ambrogio (33). Si distinse pure in questo secolo un Gasparino prevosto di S. Pietro in Corneliano.
Senonché, col progredire del tempo, i Robiani rimasti in patria finirono a poco a poco nell’oscurità, mentre quelli che nel secolo XVI emigrarono nel Belgio si distinsero nelle pubbliche cariche ed ebbero il titolo di conte, ed ancora continuano, scrive il Sant’Ambrogio, nei due rami dei Conti Robiano d’Hougoumont e di Rorsbeck.

[Articolo apparso sulla rivista: Archivio Storico Lombardo, XLIX (1922/3-4), pp. 350-360.]