Lavandera
Senza badare ai passanti ed alle carrozze, i lavandai
spingevano i loro rumorosi e traballanti carretti da un lato all'altro
della strada.
Si usava dire: "L'è cóme on car de lavandee, con pù l'è voeud con pù el
fa frecass", è come un carretto di lavandaio, tanto più strepita quanto
più è vuoto.
La lavandaia si presentava sull'uscio di casa con la parola d'ordine:
"Gh'e chi la lavandera! Tabell de la lavanderaaa!"
La "tabella" era la nota o lista del bucato.
Al lunedì ritirava la biancheria sporca con la preparazione della nota;
al sabato riconsegnava la biancheria pulita che veniva controllata capo
per capo.
C'era tutto un florilegio di canzoni intorno alla lavandaia: "La bella
lavanderina, che lava i fazzoletti, per i poveretti della città..."
"La bella la và al fosso" è la storia del tenero incontro tra la
lavanderina e il pescatore. Ma l'idillio viene disturbato dal grido del
venditore di verdura:
"La bella la và al fosso
(ravanej, remolass, barbabietol e spinazz
cinq palanch al mazz)
la bella la và al fosso, al fosso a resentà.
... Nel bell che la resenta..."
Nelle loro baracche di legno situate lungo i canali, i lavandai
conducevano una vita alquanto dura; trascorrevano molte ore con le mani
nella fredda corrente, inginocchiati entro il brelin, un cassone di
legno.
Nonostante il mestiere faticoso, si cantava una canzone:
"Bell mestee la lavandera,
bell mestee proppi de bon
lee la lava e lee la frega,
lee la canta i sò canzon..."
(pubbl. frescura Re)
Opera di Busoni Marco